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Katrina gli mise un dito sulle labbra. «Ssst. Non dirlo, porta male.»

«D'accordo.» La abbracciò un'ultima volta. «Abbi cura di te.»

«Anche tu.»

Roran odiò separarsi ancora una volta da lei. Sollevò lo scudo e uscì dalla tenda, emergendo nella pallida luce dell'alba. Uomini, nani e Urgali sciamavano nell'accampamento correndo verso il grande spiazzo a ovest dove si andavano radunando i Varden.

Roran si riempì i polmoni con l'aria fresca del mattino e s'incamminò; sapeva che il suo gruppo di guerrieri lo stava già aspettando. Arrivato allo spiazzo, cercò la divisione di Jörmundur, e dopo essersi presentato all'ufficiale, si avviò alla testa del gruppo, dove scelse di mettersi vicino a Yarbog.

L'Urgali gli scoccò un'occhiata e grugnì: «Un buon giorno per combattere.»

«Già, un buon giorno.»

Un corno risuonò alla testa dei Varden non appena il sole spuntò all'orizzonte. Roran sollevò la lancia e cominciò a correre, come tutti gli altri intorno a lui, urlando con quanto fiato aveva in gola, mentre nugoli di frecce e massi scagliati dalle catapulte sibilavano sulle loro teste, volando da entrambe le direzioni. Davanti a lui si profilò la muraglia di pietra alta ottanta piedi.

L'assedio di Feinster era cominciato.

♦ ♦ ♦

COMMIATO

Una volta lasciata la dimora di Rhunön, Eragon e Saphira tornarono in volo alla casa sull'albero. Eragon radunò le sue cose, sellò Saphira e le montò in groppa.

Prima di andare alla rupe di Tel'Naeír, disse, c'è ancora una cosa che devo fare a Ellesméra.

Devi? chiese Saphira.

Altrimenti non mi darò pace.

Saphira spiccò un salto dalla casa sull'albero. Volò verso ovest finché il numero di abitazioni cominciò a diminuire, poi discese adagio per un dolce atterraggio su uno stretto sentiero coperto di muschio. Dopo aver chiesto e ottenuto indicazioni da un elfo che sedeva fra i rami di un albero vicino, Eragon e Saphira proseguirono attraverso la foresta, finché arrivarono a una piccola capanna con una sola stanza, ricavata dal tronco di un abete inclinato ad angolo acuto, come piegato da un vento incessante.

A sinistra della casa c'era un morbido terrapieno, più alto di Eragon di diversi piedi. Un rivolo d'acqua scorreva dal bordo del terrapieno per gettarsi in un limpido laghetto e serpeggiare di nuovo negli ombreggiati recessi della foresta. Il laghetto era orlato da ciuffi di orchidee bianche. Tra i fiori slanciati sporgeva dal terreno una radice nodosa. E sulla radice, seduto a gambe incrociate, c'era Sloan.

Eragon trattenne il fiato perché non voleva tradire la propria presenza. Secondo lo stile degli elfi, il macellaio indossava abiti marrone e arancio. Una sottile striscia di tela nera legata intorno alla testa gli nascondeva le orbite vuote. In grembo teneva un pezzo di legno stagionato, che stava intagliando con un piccolo coltello ricurvo. Aveva il volto solcato da molte più rughe di quante Eragon ricordasse, e mani e braccia piene di cicatrici recenti, che risaltavano livide sulla pelle.

Aspetta qui, disse Eragon a Saphira, e le scivolò giù dalla schiena.

Mentre Eragon gli si avvicinava, Sloan smise di intagliare e fece un brusco cenno con la testa. «Vattene» gracchiò.

Non sapendo che cosa rispondere, Eragon si fermò e restò in silenzio.

Con i muscoli della mascella che gli tremavano, Sloan rimosse un altro paio di riccioli dal pezzo di legno, poi batté la punta del coltello contro la radice e disse: «Maledizione! Non potete lasciarmi solo con la mia miseria per qualche ora? Non voglio più ascoltare quei vostri bardi o menestrelli. E potete chiedermelo all'infinito, ma non cambierò idea. E adesso via! Via!»

Eragon provò un misto di pietà e di rabbia, e un senso di smarrimento nel vedere un uomo con cui era cresciuto, e che così spesso aveva temuto e disprezzato, ridotto in un simile stato. «Ti trovi bene?» gli chiese nell'antica lingua, adottando un tono leggero e cadenzato.

Sloan emise un grugnito di disgusto. «Sai che non capisco la tua lingua e non voglio nemmeno impararla. Le parole mi risuonano nelle orecchie più di quanto non dovrebbero. Se non parli nella lingua della mia razza, tanto vale che non mi rivolga la parola.»

Malgrado la sua richiesta, Eragon non ripeté la domanda nella loro lingua. E neppure se ne andò.

Imprecando fra i denti, Sloan ricominciò a intagliare. Ogni due passate di lama, accarezzava la superficie del legno col pollice destro per controllare i progressi del proprio lavoro. Dopo qualche minuto, in tono più gentile, disse: «Avevate ragione; fare qualcosa con le mani mi calma la mente. A volte... a volte riesco quasi a dimenticare quello che ho perduto, ma i ricordi tornano sempre e io mi sento soffocare... Sono contento che mi abbiate affilato il coltello. I coltelli di un uomo dovrebbero sempre essere affilati.»

Eragon lo guardò ancora per un minuto, poi si voltò e tornò dove Saphira stava aspettando. Mentre si issava in sella disse: Sloan non mi sembra molto cambiato.

Saphira replicò: Non puoi aspettarti che diventi un altro in così breve tempo.

No, ma speravo che qui a Ellesméra gli venisse un po' di buonsenso, e che si pentisse dei suoi crimini.

Se non vuole riconoscere i suoi errori, Eragon, niente può costringerlo a farlo. Comunque, tu hai fatto il possibile. Ora spetta a lui riconciliarsi con la vita, e se non ce la fa, lascia che cerchi il conforto della tomba eterna.

Da una radura vicino alla casa di Sloan, Saphira si slanciò in aria, librandosi sugli alberi per puntare a nord, verso la rupe di Tel'naeír. Batteva le ali in fretta, con tutta la forza che aveva. Il sole del mattino era ormai spuntato all'orizzonte, e i raggi di luce che lambivano le cime degli alberi creavano lunghe ombre scure che puntavano a ovest, come vessilli purpurei.

Saphira planò verso la radura vicina alla casa di legno di pino, dove Glaedr e Oromis erano in piedi ad aspettarli. Eragon fu stupito nel vedere che Glaedr aveva una sella nascosta fra due punte acuminate del dorso e che Oromis indossava pesanti abiti da viaggio, blu e verdi, su cui portava un'armatura dalle scaglie dorate. Gli avambracci erano protetti da lunghi bracciali e a tracolla portava un alto scudo romboidale. Teneva un antico elmo sotto il braccio sinistro e dalla cintola pendeva la sua spada color bronzo, Naegling.

Levando con le ali una folata di vento, Saphira atterrò sul prato di trifoglio e schioccò la lingua assaggiando l'aria mentre Eragon scivolava a terra. Verrete con noi dai Varden? chiese lei, la punta della coda fremente per l'eccitazione.

«Voleremo con voi fino ai margini della Du Weldenvarden, ma lì le nostre strade si separeranno» dichiarò Oromis.

Deluso, Eragon chiese: «E poi tornerete a Ellesméra?»

Oromis scosse il capo. «No, Eragon. Poi continueremo fino alla città di Gil'ead.»

Saphira sibilò, sorpresa quanto Eragon. «Perché Gil'ead?» chiese lui.

Perché da Ceunon, Islanzadi e il suo esercito hanno marciato sulla città e stanno per cingerla d'assedio, disse Glaedr. Le strane, scintillanti strutture della sua mente sfiorarono la coscienza di Eragon.

Ma non volevate tenere nascosta la vostra esistenza all'Impero? chiese Saphira.

Oromis chiuse gli occhi per un momento, con un'espressione triste ed enigmatica. «Il tempo di nascondersi è finito, Saphira. Io e Glaedr vi abbiamo insegnato tutto quello che potevamo, nel breve periodo in cui avete avuto la possibilità di studiare sotto la nostra guida. È stata ben poca cosa se paragonata all'istruzione che avreste ricevuto ai tempi antichi, ma visto il precipitare degli eventi siamo già stati fortunati a riuscire a insegnarvi quanto sapete. Io e Glaedr siamo soddisfatti: ora avete tutte le informazioni che possono aiutarvi a sconfiggere Galbatorix.

«Perciò, poiché è improbabile che torniate per continuare il vostro addestramento prima della conclusione di questa guerra, ed è ancora più improbabile che esistano un altro drago e un altro Cavaliere da istruire mentre Galbatorix calpesta ancora questa terra, abbiamo deciso che non ci sono altre ragioni per restare confinati nella Du Weldenvarden. È più importante aiutare Islanzadi e i Varden a sconfiggere Galbatorix che restare qui nell'ozio, aspettando che un altro Cavaliere e un altro drago ci vengano a cercare.

«Quando Galbatorix saprà che siamo ancora vivi, sarà meno sicuro di sé, e si chiederà se altri draghi e altri Cavalieri sono sopravvissuti al suo tentativo di sterminio. Sapere della nostra esistenza rinsalderà lo spirito dei nani e dei Varden, e annullerà qualsiasi effetto negativo che la comparsa di Murtagh e Castigo sulle Pianure Ardenti può aver avuto sulla risolutezza dei guerrieri. Non solo: altri sudditi dell'Impero potrebbero decidere di unirsi ai soldati di Nasuada.»

Eragon scoccò un'occhiata a Naegling e disse: «Certo. Però, maestro, non avrete intenzione di scendere in campo, vero?»

«E perché no?» ribatté Oromis, inclinando la testa di lato.

Temendo di offenderli, Eragon esitò. Infine disse: «Perdonami, maestro, ma come puoi combattere se ti manca l'energia per evocare incantesimi di un certo peso? E gli attacchi che talvolta ti prendono? E se accadesse nel mezzo di una battaglia? Potrebbe essere fatale.»

Oromis rispose: «Come ormai dovresti sapere, la semplice forza di rado decreta il vincitore quando due maghi si affrontano. E in ogni caso ho tutta la forza che mi serve qui, nella gemma della mia spada.» E posò la mano sul diamante giallo che costituiva il pomolo di Naegling. «Per oltre cento anni io e Glaedr abbiamo accumulato in questo diamante ogni briciolo risparmiato della nostra forza, e molti altri hanno aggiunto la loro. Due volte la settimana parecchi elfi di Ellesméra vengono a farmi visita e trasferiscono nella gemma tutta la forza vitale di cui possono fare a meno senza uccidersi. La quantità di energia contenuta in questa pietra è formidabile, Eragon: con essa potrei spostare un'intera montagna. Sarà facile quindi difendere Glaedr e me stesso da spade, lance, frecce o persino da un masso lanciato da una catapulta. Quanto ai miei attacchi, ho aggiunto alcuni incantesimi di protezione alla pietra di Naegling che mi difenderanno nel caso che venissi colpito da convulsioni mentre sono in battaglia. Perciò vedi, Eragon, io e Glaedr siamo tutt'altro che indifesi.»

Eragon chinò umilmente la testa e mormorò: «Sì, maestro.»

L'espressione di Oromis si addolcì. «Apprezzo la tua preoccupazione, Eragon, e fai bene a essere preoccupato, perché la guerra è una cosa pericolosa e persino il guerriero più esperto potrebbe trovare la morte ad attenderlo nella frenesia della battaglia. Tuttavia la nostra è una giusta causa. Se io e Glaedr andremo verso la morte, allora ci andremo volentieri, perché con il nostro sacrificio potremo aiutare Alagaësia a liberarsi dall'incubo della tirannia di Galbatorix.»

«Ma se voi morite» disse Eragon, sentendosi all'improvviso molto piccolo «e noi riuscissimo comunque a uccidere Galbatorix e a liberare l'ultimo uovo di drago, chi addestrerà quel drago e il suo Cavaliere?»

Eragon fu sorpreso quando Oromis tese la mano e gli afferrò la spalla. «Se ciò dovesse accadere» disse l'elfo con espressione solenne «allora sarà compito tuo, Eragon, e tuo, Saphira, istruire il nuovo Cavaliere e il nuovo drago secondo le regole del nostro ordine. Su, non fare quella faccia, Eragon. Non saresti solo in questa missione. Sono sicuro che Islanzadi e Nasuada ti circonderanno di saggi studiosi di entrambe le razze per aiutarti.»

Eragon si sentì pervadere da una strana inquietudine. Aveva spesso desiderato di essere trattato come un adulto, e tuttavia non si sentiva pronto a prendere il posto di Oromis. Gli sembrava sbagliato persino contemplare l'ipotesi. Per la prima volta capì che alla fine anche lui sarebbe diventato parte della vecchia generazione e che quando questo fosse avvenuto, non avrebbe avuto nessun mentore a guidarlo. Gli si serrò la gola.

Lasciando scivolare la mano dalla sua spalla, Oromis indicò Brisingr, che Eragon stringeva fra le braccia e disse: «L'intera foresta ha tremato quando hai svegliato l'albero di Menoa, Saphira, e metà degli elfi di Ellesméra ci hanno cercati con preghiere e suppliche perché accorressimo in suo aiuto. Poi siamo dovuti intervenire a vostro favore con Gilderien il Saggio per impedirgli di punirvi per aver usato metodi così violenti.»

Non chiederò scusa, disse Saphira. Non avevamo tempo di aspettare che funzionassero i modi gentili.

Oromis annuì. «Capisco, e non ti sto criticando, Saphira. Volevo solo che sapeste che ogni azione ha le sue conseguenze.» A un suo cenno, Eragon gli porse la spada appena forgiata e gli resse l'elmo mentre Oromis la studiava. «Rhunön ha superato se stessa!» esclamò Oromis. «Poche armi, spade o quant'altro, possono competere con questa. Sei fortunato a possedere una lama così eccezionale, Eragon.» Oromis inarcò appena un sopracciglio affilato mentre leggeva il glifo sulla lama. «Brisingr... un gran bel nome per la spada di un Cavaliere dei Draghi.»

«Già» disse Eragon, «ma per qualche ragione ogni volta che pronuncio il suo nome la lama prende...» Esitò, e invece di dire fuoco - che nell'antica lingua, ovviamente, era brisingr disse: «Fiamma.»

Il sopracciglio di Oromis si sollevò ancora di più. «Davvero? Rhunön ti ha dato una spiegazione per questo straordinario fenomeno?» Mentre parlava, gli restituì Brisingr in cambio dell'elmo.

«Sì, maestro» disse Eragon, e gli riferì le due teorie di Rhunön.

Quando ebbe finito, Oromis mormorò: «Mi domando...» E il suo sguardo scivolò oltre Eragon, verso l'orizzonte. Poi scosse il capo e tornò a guardare Eragon e Saphira con i suoi intensi occhi grigi. La sua espressione divenne ancora più solenne di prima. «Temo di aver lasciato parlare il mio orgoglio. Io e Glaedr non siamo deboli, ma come hai giustamente sottolineato tu, Eragon, non siamo nemmeno in perfette condizioni. Glaedr ha la sua ferita, e io ho la mia... Non per niente mi chiamano lo Storpio Che è Sano.

«I nostri limiti non sarebbero un problema se i nostri nemici fossero semplici mortali. Anche nelle nostre attuali condizioni, potremmo facilmente uccidere un centinaio di umani qualsiasi... un centinaio, un migliaio, poco importa. Ma il nostro nemico è l'avversario più pericoloso che noi o questa terra abbiamo mai affrontato. Per quanto mi dispiaccia ammetterlo, io e Glaedr siamo in svantaggio, ed è possibile che non sopravviveremo alle battaglie imminenti. Le nostre vite sono state lunghe e piene, e le tribolazioni dei secoli ci pesano, ma voi due siete giovani e freschi e pieni di speranza, e credo che le vostre prospettive di sconfiggere Galbatorix siano superiori a quelle di chiunque altro.»

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