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Qualche ora dopo il crepuscolo, Saphira sussultò e perse quota di colpo, con una caduta vertiginosa di parecchi piedi.

Eragon si rizzò in sella allarmato e volse lo sguardo in cerca della possibile causa dell'inconveniente, ma in basso vide soltanto oscurità, in alto le stelle che brillavano.

Credo che siamo arrivati sul fiume Jiet, disse Saphira. L'aria qui è fredda e umida come lo è sopra l'acqua.

Allora Feinster non dovrebbe essere molto lontana. Sei sicura di riuscire a trovare la città al buio? Potremmo essere cento miglia più a nord o a sud.

No, non lo siamo. Il mio senso dell'orientamento non sarà infallibile, ma è certamente migliore del tuo o di quello di qualunque altra creatura terrestre. Se le mappe degli elfi che abbiamo visto sono precise, allora possiamo essere fuori rotta al massimo di cinquanta miglia, e da questa altezza riusciremo a vedere la città. Potremo persino fiutare il fumo dei loro comignoli.

E così fu. Quella stessa notte, quando ormai mancavano un paio d'ore all'alba, un opaco rossore illuminò l'orizzonte a ovest. Non appena lo vide, Eragon si volse e prese dalle bisacce l'armatura. Indossò la cotta di maglia, il copricapo di cuoio, l'elmo, i bracciali e gli schinieri. Avrebbe voluto avere con sé anche lo scudo, ma lo aveva lasciato dai Varden prima di correre al Monte Thardûr con Nar Garzhwog. Poi rovistò nelle borse finché non trovò la fiaschetta d'argento di faelnirv che gli aveva dato Oromis. Il contenitore di metallo era freddo. Eragon bevve un piccolo sorso del liquore incantato, che sapeva di bacche di sambuco, idromele e sidro. Gli bruciò la gola e un forte calore gli invase il volto. Nel giro di qualche istante, le virtù tonificanti del faelnirv fecero effetto, e la stanchezza cominciò a svanire.

Eragon agitò la fiaschetta e notò preoccupato che un terzo del prezioso liquore se n'era già andato, anche se ne aveva bevuto soltanto un altro sorso in precedenza. Devo stare più attento, pensò.

Mentre si avvicinavano, il bagliore all'orizzonte si frammentò in migliaia di fonti luminose: piccole lanterne, fuochi da cucina, grandi falò, grosse chiazze di pece ardente che spandevano un acre fumo nero nel cielo notturno. Nella luce rossastra dei fuochi, Eragon vide un oceano di punte di lancia ed elmi che scintillavano ai piedi della grande città fortificata. Le mura brulicavano di figure che scagliavano frecce o rovesciavano enormi calderoni d'olio bollente fra le merlature, tagliavano le funi dei rampini gettati oltre i parapetti e respingevano le sgangherate scale di legno che gli assedianti continuavano ad appoggiare ai bastioni. Gemiti e urla si levavano dal terreno, insieme al rimbombo dell'ariete che cozzava contro le porte di ferro della città.

Gli ultimi residui di stanchezza abbandonarono Eragon mentre scrutava il campo di battaglia, studiando la disposizione degli uomini, delle costruzioni e delle varie macchine belliche. A ridosso delle mura di Feinster c'erano centinaia di baracche decrepite, ammassate l'una sull'altra, con appena lo spazio per far passare un cavallo: erano le abitazioni dei poveri che non potevano permettersi una casa nel corpo principale della città. Le baracche sembravano abbandonate e molte erano state abbattute perché i Varden potessero attaccare in massa le mura. Le più fatiscenti stavano bruciando e sotto lo sguardo di Eragon le fiamme continuavano a diffondersi, propagandosi da un tetto di paglia all'altro. A est delle baracche, il terreno era solcato da curve linee nere, le trincee che i Varden avevano scavato per proteggere l'accampamento. Dall'altra parte della città, Eragon scorse i moli e le banchine, simili a quelle che aveva visto a Teirm, e poi lo scuro e inquieto oceano che si estendeva a perdita d'occhio.

Eragon fu percorso da un brivido di eccitazione selvaggia e sentì Saphira fremere sotto di lui nello stesso momento. Strinse l'elsa di Brisingr. Sembra che non si siano ancora accorti di noi. Dobbiamo annunciare il nostro arrivo?

Saphira rispose con un ruggito così potente da fargli battere i denti e con una densa fiammata azzurra che illuminò il cielo.

Sotto di loro, i Varden che attaccavano le mura e i soldati che le difendevano si fermarono, e per un momento il silenzio avvolse il campo di battaglia. Poi i Varden cominciarono a esultare e a battere le lance e le spade sugli scudi, mentre sonori gemiti di disperazione si levavano dagli abitanti della città.

Ah! esclamò Eragon battendo le palpebre. Preferirei che non lo avessi fatto: ora non vedo niente.

Scusa.

Con gli occhi ancora accecati dal bagliore azzurro, il Cavaliere disse: La prima cosa che dobbiamo fare è trovare un cavallo o qualche altro animale appena morto per ridarti energia.

Non devi...

Saphira s'interruppe quando una mente estranea toccò le loro. Dopo un istante di panico, Eragon riconobbe la coscienza di Trianna. Eragon, Saphira! gridò la maga. Appena in tempo! Arya e un altro elfo hanno scalato le mura, ma sono stati presi in trappola da un gruppo di soldati. Non sopravviveranno un altro minuto se qualcuno non li aiuta. Presto!

BRISINGR!

Saphira fece aderire le ali al corpo e si tuffò in picchiata verso gli scuri edifici della città. Eragon chinò il capo per non farsi investire dal vento. Il mondo vorticò intorno a loro quando Saphira eseguì un'imbardata a destra per mettere in difficoltà gli arcieri.

Quando la dragonessa interruppe la picchiata per risalire all'improvviso, Eragon si sentì come schiacciato da un peso enorme, ma la sensazione scomparve non appena Saphira riprese l'assetto orizzontale. Come strani falchi gracchianti, le frecce sibilavano intorno a loro, alcune mancando il bersaglio, altre neutralizzate dagli incantesimi di protezione di Eragon.

Passando a volo radente sulle mura di cinta, Saphira ruggì di nuovo e a colpi di artiglio e di coda scaraventò giù dai parapetti gruppi di uomini urlanti che precipitarono sul duro terreno dopo un volo di ottanta piedi.

All'estremità del muro meridionale si ergeva un'alta torre quadrata, difesa da quattro baliste che scagliavano giavellotti lunghi dodici piedi sui Varden ammassati davanti ai cancelli della città. Ai piedi della torre Eragon scorse due guerrieri che, la schiena al muro, cercavano disperatamente di respingere le lame insidiose di un centinaio di soldati.

Malgrado il buio e l'altezza, Eragon riconobbe subito Arya. Saphira balzò giù dal parapetto e atterrò in mezzo ai soldati, schiacciandone un bel numero sotto le zampe. Gli altri, sorpresi, si dispersero urlando di paura. Saphira ruggì, irritata dal fatto che le sue prede stessero scappando, e con un guizzo della coda falciò un'altra decina di soldati. Un uomo cercò di oltrepassarla correndo. Fulminea come un serpente, la dragonessa lo afferrò tra le mascelle e scrollò la testa, spezzandogli la spina dorsale. Ne uccise altri quattro allo stesso modo.

A quel punto tutti gli uomini erano fuggiti tra gli edifici.

Eragon si slacciò in fretta le cinghie delle gambe e saltò a terra. Il peso dell'armatura lo fece atterrare su un ginocchio. Sbuffò e si alzò.

«Eragon!» gridò Arya, correndogli incontro ansante e madida di sudore. La sua unica armatura era una giubba imbottita, più un elmo leggero dipinto di nero per evitare riflessi indesiderati.

«Ben arrivata, Bjartskular. Ben arrivato, Ammazzaspettri» disse Blödhgarm, i piccoli denti appuntiti che baluginavano alla luce delle torce, i gialli occhi fosforescenti. Con la pelliccia del dorso e della nuca tutta arruffata, aveva un aspetto più feroce che mai. Anche lui, come Arya, era coperto di sangue, ma Eragon non riusciva a capire se fossero feriti.

«State bene?» chiese.

Arya annuì e Blödhgarm disse: «Qualche graffio, ma niente di grave.»

Che cosa ci fate qui senza rinforzi? chiese Saphira.

«I cancelli» ansimò Arya. «Sono tre giorni che cerchiamo di abbatterli, ma resistono alla magia, e l'ariete ha appena scalfito il legno. Perciò ho convinto Nasuada...» Quando Arya fece una pausa per riprendere fiato, Blödhgarm s'inserì nel racconto. «Arya ha convinto Nasuada a sferrare un attacco stanotte perché noi due potessimo introdurci nella città senza essere visti e aprire i cancelli dall'interno. Purtroppo ci siamo imbattuti in tre stregoni. Con il potere della mente ci hanno impedito di usare la magia, e intanto hanno chiamato i soldati per poterci sopraffare con la semplice forza dei numeri.»

Mentre Blödhgarm parlava, Eragon posò una mano sul petto di un soldato morto e trasferì l'energia rimasta in lui nel proprio corpo e quindi a Saphira.

«Dove sono gli stregoni adesso?» chiese, passando a un altro cadavere.

Blödhgarm si strinse nelle spalle pelose. «A quanto pare si sono volatilizzati per il terrore quando siete comparsi, Shur'tugal.»

Hanno fatto bene, ringhiò Saphira.

Eragon assorbì energia da altri tre soldati, e all'ultimo tolse anche lo scudo rotondo di legno. «D'accordo, allora» disse, rialzandosi. «Andiamo ad aprire i cancelli ai Varden.»

«Sì, e senza perdere altro tempo» disse Arya. Si voltò, già pronta all'azione, ma poi scoccò un'occhiata a Eragon e disse: «Hai una spada nuova.» Non era una domanda.

Lui annuì. «Rhunön mi ha aiutato a forgiarla.»

«E come si chiama la tua spada, Ammazzaspettri?» chiese Blödhgarm.

Eragon stava per rispondere, quando quattro soldati corsero fuori da un vicolo buio con le lance puntate. Con un unico movimento fluido, Eragon estrasse Brisingr dal fodero e sferrò un colpo che prima tagliò a metà l'asta del soldato alla guida del gruppo, poi lo decapitò. Brisingr parve luccicare di una gioia selvaggia. Con un solo affondo, Arya trafisse altri due uomini prima che avessero il tempo di reagire, mentre Blödhgarm balzava di lato e pugnalava l'ultimo soldato.

«Svelti!» gridò Arya cominciando a correre verso i cancelli della città.

Eragon e Blödhgarm la seguirono, con Saphira che arrancava alle calcagna, gli artigli che risuonavano sulle pietre della strada. Dal parapetto piovvero nugoli di frecce, e per tre volte gruppi di soldati corsero fuori dalla roccaforte per avventarsi su di loro. Senza mai rallentare, Eragon, Arya e Blödhgarm si sbarazzarono degli avversari a colpi di spada o di pugnale, o fu Saphira a incenerirli con un torrente di fuoco.

Mentre si avvicinavano ai cancelli alti quaranta piedi, il rimbombo continuo dell'ariete si fece sempre più forte. Davanti alle porte di ferro, Eragon vide due uomini e una donna ammantati di nero che cantilenavano nell'antica lingua, ondeggiando da una parte e dall'altra con le mani in alto. I tre stregoni tacquero non appena si accorsero della presenza di Eragon e dei suoi compagni e in uno svolazzo di mantelli fuggirono lungo la via principale che portava alla fortezza, dall'altra parte di Feinster.

Eragon avrebbe voluto inseguirli. Chissà che cosa stanno tramando, pensò preoccupato mentre si dileguavano. Ma era più importante far entrare i Varden in città, dove non sarebbero più stati il bersaglio dei soldati sulle mura.

Prima che Eragon, Blödhgarm e Saphira arrivassero ai cancelli, cinquanta soldati dalle scintillanti armature corsero fuori dalle torri di guardia e si schierarono davanti alle grosse porte di ferro.

Uno dei soldati batté l'elsa della spada contro lo scudo e gridò: «Non passerete mai, luridi demoni! Questa è la nostra casa e non permetteremo a Urgali, elfi o altri mostri disumani di entrare. Andatevene, perché a Feinster non troverete che sangue e dolore.»

Arya indicò le torri di guardia e mormorò a Eragon: «Le leve che azionano i cancelli sono nascoste lì dentro.»

«Allora» disse lui «tu e Blödhgarm aggirate gli uomini ed entrate nelle torri. Io e Saphira li terremo occupati.»

Arya annuì e svanì con Blödhgarm fra le nere ombre che avvolgevano le case alle spalle di Eragon e Saphira.

Con la mente, Eragon sentì che Saphira si preparava ad avventarsi sul gruppo dei soldati. Le posò una mano sulla zampa e disse: Aspetta, voglio prima provare una cosa.

Se però non funziona, poi posso farli a pezzi? chiese lei, leccandosi le zanne.

Sì, potrai fare di loro ciò che vuoi.

Eragon avanzò lentamente verso i soldati tenendo bene in vista lo scudo e la spada. Dall'alto venne scoccata una freccia, ma a poche spanne dal suo petto si fermò e cadde. Eragon guardò le espressioni terrorizzate dei soldati, poi a voce alta disse: «Il mio nome è Eragon Ammazzaspettri. Forse avete sentito parlare di me, o forse no. In ogni caso vi avverto: sono un Cavaliere dei Draghi e ho giurato di aiutare i Varden a deporre Galbatorix dal suo trono. Ditemi, qualcuno di voi ha giurato fedeltà nell'antica lingua a Galbatorix o all'Impero?... Allora, sì o no?»

L'uomo che aveva già parlato, doveva essere il capitano, disse: «Non giureremmo mai fedeltà al re, anche se avessimo una spada puntata alla gola. La nostra lealtà appartiene a Lady Lorana. Lei e la sua famiglia ci governano più che bene da quattro generazioni!» Gli altri mormorarono in segno d'assenso.

«Allora unitevi a noi!» esclamò Eragon. «Deponete le armi e vi prometto che non sarà torto un capello né a voi né alle vostre famiglie. Non potete sperare di tenere Feinster contro l'alleanza dei Varden, dei surdani, dei nani e degli elfi.»

«Questo lo dici tu!» gridò uno dei soldati. «E se Murtagh dovesse tornare qui con quel suo drago rosso?»

Eragon esitò, poi con voce sicura disse: «Lui non è un problema per me e per gli elfi che combattono con i Varden. L'abbiamo già messo in fuga una volta.» Con la coda dell'occhio, alle spalle dei soldati, Eragon vide Arya e Blödhgarm scivolare dietro la scala di pietra che portava in cima alle mura e strisciare furtivi verso la torre di guardia a sinistra.

Il capitano disse: «Anche se noi non abbiamo giurato fedeltà al re, Lady Lorana l'ha fatto. Che cosa le farete, allora? La ucciderete? La prenderete prigioniera? No, noi non tradiremo la sua fiducia e non permetteremo di passare né a te né ai quei mostri che graffiano le nostra mura. Tu e i Varden non siete altro che una promessa di morte per coloro che sono stati costretti a servire l'Impero!

«Perché non sei rimasto in disparte, Cavaliere dei Draghi? Perché non hai tenuto la testa bassa affinché noi potessimo vivere in santa pace? Ma no, le lusinghe di fama, gloria e ricchezza erano troppo allettanti. Per soddisfare le tue ambizioni hai dovuto portare rovina e distruzione nelle nostre case. Ebbene, io ti maledico, Cavaliere dei Draghi! Ti maledico con tutto il cuore. Che tu possa lasciare Alagaësia per non tornarvi mai più!»

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