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Ora, disse Eragon a Saphira, forse possiamo...
«Ammazzaspettri! Ammazzaspettri!» gridò un uomo correndo verso di loro. Le armi e l'armatura lo identificarono come uno dei Varden.
Eragon serrò la stretta su Brisingr. «Che cosa c'è?»
«Ci serve il tuo aiuto, Ammazzaspettri. E anche il tuo, Saphira!»
Seguirono il guerriero per le vie di Feinster finché non arrivarono vicino a un grosso edificio di pietra. Parecchie decine di Varden erano accucciati dietro un basso muro di fronte all'edificio. Parvero sollevati nel vederli.
«State indietro!» disse uno dei Varden, facendo un cenno con la mano. «Ci sono dei soldati lì dentro, e hanno gli archi puntati su di noi.»
Eragon e Saphira si fermarono appena fuori tiro. Il guerriero che li aveva condotti lì disse: «Non riusciamo a raggiungerli. Porte e finestre sono bloccate e se cerchiamo di aprirle ci scagliano addosso le frecce.»
Eragon guardò Saphira. Vai tu o vado io?
Me ne occupo io, disse lei, e spiccò il volo, battendo forte le ali.
L'edificio tremò e le finestre s'infransero quando Saphira atterrò sul tetto. Eragon e gli altri guerrieri la osservarono ammirati mentre conficcava gli artigli nelle scanalature di malta fra una pietra e l'altra e ringhiando per lo sforzo scoperchiava l'edificio portando alla luce i soldati terrorizzati. Li uccise come fa un terrier coi ratti.
Quando Saphira tornò al fianco di Eragon, i Varden indietreggiarono, intimoriti da quella dimostrazione di ferocia. Lei li ignorò e cominciò a leccarsi le zampe per pulirsi il sangue dalle squame.
Ti ho mai detto quanto sono contento che non siamo nemici? disse Eragon.
No, ma è molto carino da parte tua.
In tutta la città i soldati combattevano con una risolutezza che impressionò Eragon; concedevano terreno solo se costretti e facevano di tutto per rallentare l'avanzata dei Varden. A causa di questa resistenza tenace, i Varden arrivarono nella parte occidentale della città dove si trovava la fortezza solo quando le prime, deboli luci dell'alba cominciavano a rischiarare il cielo.
La fortezza era una struttura imponente, alta e squadrata, ornata da numerose torri di diversa altezza. Il tetto era di ardesia perché gli assedianti non potessero appiccarvi il fuoco. Davanti alla fortezza si estendeva un'ampia corte con bassi fabbricati e una fila di quattro catapulte, e il tutto era circondato da una muraglia difensiva intervallata da torrette. Centinaia di soldati erano appostati sui bastioni e altrettanti erano schierati nel cortile. L'unico modo per entrare nel cortile via terra era attraverso un ampio passaggio ad arco che si apriva nel muraglione, protetto sia da una cancellata di ferro che da un grosso portone di quercia a doppio battente.
Migliaia di Varden, ammassati davanti al muro di cinta, cercavano di abbattere la cancellata a colpi di ariete - che avevano portato con sé dai cancelli della città - oppure di arrampicarsi sui bastioni con i rampini e le scale da assedio che i difensori continuavano a respingere. Nugoli di frecce sibilanti s'incrociavano in volo al di sopra del muro. Assedianti e assediati erano in una situazione di stallo.
Il cancello! disse Eragon indicandolo.
Saphira piombò dall'alto e sgombrò la porzione di parapetto che si affacciava sulla cancellata con un potente getto di fuoco, mentre spirali di fumo ardente si levavano dalle sue narici. Atterrò di schianto in cima alla muraglia ed Eragon barcollò per il contraccolpo. La dragonessa gli disse: Tu vai. Penso io alle catapulte prima che comincino a scagliare pietre sui Varden.
Stai attenta, si raccomandò lui, e smontò di sella, scendendo sul parapetto.
Sono loro che devono stare attenti, replicò lei, e ringhiò contro gli uomini radunati intorno alle catapulte. Una metà dei soldati si volse e corse a cercare riparo.
Il muro era troppo alto perché Eragon riuscisse a saltare con facilità in strada, perciò Saphira infilò la coda fra due merli e la fece ciondolare in basso. Eragon rinfoderò Brisingr e scese usando le punte caudali come i pioli di una scala. Quando raggiunse l'estremità della coda, lasciò la presa e saltò per gli ultimi venti piedi che lo separavano dal terreno. Si raggomitolò per attutire l'impatto, atterrando nella ressa di Varden.
«Salve, Ammazzaspettri» disse Blödhgarm, emergendo dalla folla insieme agli altri undici elfi.
«Salute a voi.» Eragon sfoderò di nuovo Brisingr. «Come mai non avete già aperto il cancello ai Varden?»
«Il cancello è protetto da molti incantesimi, Ammazzaspettri. Ci vorrebbe parecchia energia per abbatterlo. I miei compagni e io siamo qui per proteggere te e Saphira, e non possiamo adempiere al nostro dovere se esauriamo le nostre forze in altri compiti.»
Rimangiandosi un'imprecazione, Eragon disse: «Preferiresti che ci stancassimo io e Saphira, Blödhgarm? Questo ci renderà più sicuri?»
L'elfo fissò Eragon per un momento, con gli occhi gialli imperscrutabili, poi chinò il capo. «Apriremo subito il cancello, Ammazzaspettri.»
«No, fermi» borbottò Eragon. «Aspettate qui.»
Si fece strada a spintoni fino a raggiungere la testa dei Varden e a grandi passi si avvicinò alla cancellata ancora chiusa. «Fatemi spazio!» gridò, facendo un cenno ai guerrieri. I Varden indietreggiarono, sgombrando un'area larga venti piedi. Un giavellotto scagliato da una balista fu deviato dal suo incantesimo di protezione e volò in una strada laterale. Dall'interno del cortile provennero i ruggiti di Saphira, insieme a schianti di legno fracassato e corde tese che si spezzavano.
Impugnando la spada con tutte e due le mani, Eragon la sollevò sulla testa e gridò: «Brisingr!» La lama esplose in una vampa di fuoco blu e i guerrieri alle sue spalle esclamarono sbigottiti. Eragon fece un passo avanti e vibrò un colpo possente contro una sbarra della cancellata. Quando la spada tagliò il metallo, un lampo accecante illuminò il muro e gli edifici attorno. Eragon avvertì un improvviso calo di energia mentre Brisingr spezzava gli incantesimi che proteggevano la cancellata. Sorrise. Come aveva sperato, gli incantesimi di contromagia con cui Rhunön aveva impregnato la spada erano sufficienti per sconfiggere i sortilegi del ferro.
Con movimenti rapidi e regolari, Eragon ritagliò nella cancellata un varco abbastanza grande per passare, poi si fece da parte e la sezione tagliata della grata cadde di piatto sulle pietre della strada con un forte clangore. Attraversò il varco e si avvicinò al portone di quercia che si trovava dall'altra parte del muro di cinta. Appoggiò la punta di Brisingr sulla sottilissima fessura fra i due battenti, e con tutto il suo peso spinse la lama fino a farla spuntare dall'altra parte. Poi aumentò il flusso di energia che alimentava il fuoco della lama, finché la spada non fu abbastanza rovente da aprirsi la strada bruciando il legno massiccio con la stessa facilità di un coltello che affetta del pane fresco. Dalla lama si alzarono copiose volute di fumo che gli pizzicarono la gola e gli fecero lacrimare gli occhi.
Eragon spinse la spada verso l'alto, bruciando l'enorme trave di legno che sbarrava la porta dall'interno. Non appena sentì diminuire la resistenza contro la lama di Brisingr, la ritrasse ed estinse la fiamma. S'infilò i guanti imbottiti per non scottarsi impugnando i bordi incandescenti di uno dei battenti e lo tirò a sé con uno sforzo immane. Anche l'altro battente si aprì, come dotato di volontà propria, ma un attimo dopo Eragon si accorse che era stata Saphira a spingerlo dall'interno: la dragonessa sedeva a destra dell'entrata, fissandolo con i suoi luccicanti occhi color zaffiro. Alle sue spalle, i resti delle quattro catapulte distrutte giacevano sul terreno.
Eragon si fece da parte accanto a lei, mentre i Varden invadevano il cortile, riempiendo l'aria delle loro ruggenti grida di battaglia. Stremato, appoggiò una mano sulla cintura di Beloth il Savio e integrò la forza che cominciava a mancargli con una parte dell'energia conservata nei dodici diamanti nascosti nella cintura. Offrì il resto a Saphira, altrettanto stanca, ma lei rifiutò, dicendo: Tienila per te, non ne è rimasta molta. E poi quello che mi serve davvero è un vero pasto e una buona notte di sonno.
Eragon si appoggiò contro il suo fianco e socchiuse le palpebre. Presto, disse, presto sarà tutto finito.
Lo spero, disse lei.
Fra i guerrieri che gli passavano accanto, comparve Angela con la sua strana corazza flangiata verde e nera e con l'hûthvír, il bastone a doppia lama dei sacerdoti nani. L'erborista si fermò davanti a Eragon e con un luccichio malizioso negli occhi disse: «Una scena impressionante, ma non credi di aver esagerato?»
«Che vuoi dire?» chiese Eragon, aggrottando la fronte.
Lei inarcò un sopracciglio. «Avanti, era proprio necessario dare fuoco alla spada?»
A quelle parole, Eragon si tranquillizzò e rise. «No, per la cancellata no. Ma mi sono divertito. E poi non dipende da me. Ho chiamato la spada Fuoco nell'antica lingua e ogni volta che pronuncio quella parola la lama s'incendia, come un ramo secco in un falò.»
«Hai chiamato la tua spada Fuoco?» esclamò Angela con una nota d'incredulità. «Fuoco? Che nome banale! Tanto valeva chiamarla Lama Fiammeggiante. Fuoco... Bah! Non avresti preferito avere una spada che si chiamasse Mordipecore o Spaccacrisantemi o qualche altro nome più fantasioso?»
«Ho già una Mordipecore qui» disse Eragon, appoggiando una mano sul fianco di Saphira. «Perché dovrei volerne un'altra?»
Angela gli rivolse un ampio sorriso. «Allora non sei del tutto privo di spirito! Credevo che fossi un caso disperato.» E si allontanò saltellando verso la fortezza, facendo roteare il suo bastone a doppia lama e borbottando: «Fuoco? Bah!»
Saphira emise un ringhio sordo e disse: Bada a chi chiami Mordipecore, Eragon, o potresti essere morso.
Va bene, Saphira.
LO SPETTRO DEL DESTINO
Nel frattempo anche Blödhgarm e i suoi compagni elfi erano arrivati nella corte, ma Eragon li ignorò cercando invece Arya. Quando la vide correre accanto al destriero di Jörmundur, sventolò lo scudo per attirare la sua attenzione.
Arya lo notò e lo raggiunse, muovendosi con la grazia di una gazzella. Da quando si erano separati si era procurata uno scudo, un elmo con la visiera e una cotta di maglia. Il metallo della sua armatura luccicava nella penombra grigia che pervadeva la città. Come si fermò, Eragon le disse: «Io e Saphira entreremo nella fortezza dall'alto per cercare di catturare Lady Lorana. Vuoi venire con noi?»
Arya annuì con un deciso cenno del capo.
Balzando su una delle zampe di Saphira, Eragon risalì in sella e Arya seguì il suo esempio un attimo dopo, stringendosi a lui, gli anelli della cotta di maglia che premevano contro la sua schiena.
Saphira dispiegò le ali di velluto e prese il volo, lasciando Blödhgarm e gli altri elfi a guardarla dal basso, frustrati.
«Non dovresti abbandonare le tue guardie con tanta leggerezza» mormorò Arya nell'orecchio di Eragon. Gli cinse la vita e lo strinse forte mentre Saphira virava sul cortile.
Prima di aver modo di rispondere, Eragon avvertì il contatto della vasta mente di Glaedr: per un momento la città sotto di loro scomparve e lui vide e percepì solo ciò che Glaedr vedeva e percepiva.
Piccole frecce pungenti come calabroni gli rimbalzavano sul ventre mentre sorvolava le rade case di legno dei bipedi dalle orecchie rotonde. L'aria era calma e solida sotto le sue ali, perfetta per il volo. La sella strofinò contro le squame quando Oromis sulla sua schiena cambiò posizione.
Glaedr estrasse la lingua e assaporò l'aroma allettante di legna bruciata, carne cotta e sangue versato. Era già stato molte volte in quel luogo, ma ai tempi della sua giovinezza era noto con un nome diverso da Gil'ead, e gli unici abitanti erano gli elfi dal sorriso moderato e dalla lingua svelta, e gli amici degli elfi. Le sue visite precedenti erano sempre state piacevoli, ma lo addolorò ricordare i due compagni di nido che erano morti lì, uccisi dai Rinnegati dalla mente perversa.
L'occhio pigro del sole indugiava sull'orizzonte. A nord, la grande acqua di Isenstar era una tremolante lamina d'argento. Sotto di loro, il branco di orecchie a punta capeggiato da Islanzadi era schierato intorno alla città-formicaio. Le loro armature luccicavano come schegge di ghiaccio. Una cappa di fumo azzurrino copriva l'intera zona, densa come la fredda nebbia del mattino.
E da sud, il piccolo Castigo dagli artigli aguzzi volava verso Gil'ead, urlando infuriato perché tutti sentissero la sua sfida. Murtagh figlio di Morzan sedeva sul suo dorso e nella sua mano destra Zar'roc brillava lucente come un'unghia.
Glaedr provò grande tristezza nel vedere i due miserabili cuccioli. Quanto avrebbe voluto non doverli uccidere. Ancora una volta, pensò, drago combatte drago e Cavaliere combatte Cavaliere, e tutto per colpa di quel Galbatorix distruttore di uova. A malincuore, Glaedr accelerò il battito delle ali e aprì gli artigli, preparandosi a dilaniare i nemici.
Il collo di Eragon subì un colpo di frusta quando Saphira effettuò una brusca imbardata e precipitò per una ventina di piedi prima di recuperare l'assetto. L'hai visto anche tu? gli chiese.
Sì. Preoccupato, Eragon scoccò un'occhiata alla bisaccia che conteneva il cuore dei cuori di Glaedr, domandandosi se era il caso di intervenire in aiuto di Oromis e Glaedr. Poi pensò che fra gli elfi dovevano esserci molti stregoni, e si sentì confortato. Oromis e Glaedr non avrebbero avuto bisogno del loro aiuto.
«Qualcosa non va?» chiese Arya. La sua voce squillò nell'orecchio di Eragon.
Oromis e Glaedr stanno per scontrarsi con Castigo e Murtagh, rispose Saphira.
Eragon sentì Arya irrigidirsi contro di lui. «Come fate a saperlo?» chiese.
«Te lo spiego dopo. Spero solo che vada tutto bene.»
«Lo spero anch'io» disse Arya.
Saphira volò alta sopra la fortezza, poi planò silenziosa senza battere le ali e atterrò sulla guglia della torre più alta. Mentre Eragon e Arya s'inerpicavano sul ripido tetto, disse: Ci vediamo nella sala di sotto. La finestra qui è troppo piccola per me. E decollò, sollevando turbini di vento che investirono Eragon e Arya.
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