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«Allora vi pare saggio esaudire il loro desiderio e far cadere di proposito

Eragon e Saphira nella loro trappola?» Nasuada sollevò un sopracciglio. «Sì» insisté Arya, «perché abbiamo un vantaggio che loro non sospetta

no nemmeno.» Indicò Blödhgarm. «Stavolta Eragon non affronterà Murtagh da solo, ma si potrà avvalere della forza congiunta di tredici elfi. Murtagh non se lo aspetta. Se blocchi i soldati prima che ci raggiungano, avrai mandato all'aria metà del piano di Galbatorix. Se poi mandi Eragon e Saphira a combattere, forti dell'appoggio dei più potenti tra gli stregoni della

mia razza, il gioco è fatto.»

«Mi hai convinto» rispose Nasuada. «Ma i soldati sono troppo vicini

perché possiamo intercettarli con la fanteria fuori dall'accampamento. Orrin...»

Ancora prima che finisse la frase, il re si era lanciato al galoppo verso i

cancelli a nord. Qualcuno del suo seguito suonò la tromba e diede al resto

della cavalleria il segnale di prepararsi all'attacco.

«Re Orrin avrà bisogno di aiuto. Mandagli i tuoi arieti» ordinò Nasuada

a Garzhvog.

«Come vuoi, Lady Furianera.» Gettando all'indietro l'immensa testa cornuta, Garzhvog lanciò un feroce muggito lamentoso. Sentendo l'ululato

selvaggio dell'Urgali, a Eragon si rizzarono i peli sulle braccia e sul collo.

Poi Garzhvog serrò la mandibola di colpo e grugnì: «Ecco fatto.» Infine il

Kull partì al trotto e corse verso l'ingresso dove erano radunati il re e i suoi

cavalieri.

Quattro Varden aprirono i cancelli. Orrin levò la spada, lanciò un grido e

uscì al galoppo, guidando i suoi uomini con le tuniche impunturate d'oro

contro i soldati nemici. Un pennacchio di polvere color crema si levò da

sotto gli zoccoli dei cavalli, avvolgendo la formazione a punta di freccia. «Jörmundur» chiamò Nasuada.

«Sì, mia signora?»

«Manda duecento spadaccini e un centinaio di lancieri a dar loro man

forte. E fa' in modo che cinquanta arcieri si dispongano a una settantina di

iarde dal combattimento. Voglio che quei soldati vengano schiacciati, annientati, cancellati dall'esistenza. Agli uomini va detto chiaro e tondo che

non devono avere pietà.»

Jörmundur si inchinò.

«E di' loro che, nonostante mi sia impossibile scendere in battaglia a

causa delle mie braccia ferite, il mio spirito marcia con loro.» «Sì, mia signora.»

Mentre Jörmundur si allontanava di corsa, Narheim avvicinò il suo pony

a Nasuada. «E il mio popolo? Che ruolo abbiamo noi?»

Nasuada guardò accigliata la densa polvere soffocante che fluttuava sull'ondulata distesa erbosa. «Potete aiutarci a proteggere il perimetro dell'accampamento. Se i soldati dovessero sfuggirci...» Fu costretta a interrompersi perché quattrocento Urgali - ne erano arrivati altri dopo la battaglia delle Pianure Ardenti - emersero con gran fragore dal centro dell'accampamento, uscirono dal cancello e si avviarono verso il campo, ruggendo incomprensibili grida di guerra. Quando furono svaniti tra la polvere, Nasuada riprese a parlare: «Come dicevo, se quei soldati dovessero sfuggirci,

le vostre asce saranno bene accette.»

Poi furono investiti da una raffica di vento, che portò con sé le grida di

uomini e cavalli morenti, lo spaventoso stridio del metallo contro il metallo, il clangore delle spade sugli elmi, l'impatto sordo delle lance sugli scudi

e, in sottofondo, un'orribile risata triste che usciva da una moltitudine di

gole e continuava incessante in quel delirio. Era la risata dei folli, pensò

Eragon.

Narheim si diede un pugno nel fianco. «Per Morgothal, non è da noi

starcene qui impalati mentre c'è un combattimento in corso! Consentici di

tagliare qualche testa per te, Nasuada!»

«No!» esclamò lei. «No, no e poi no! Vi ho già dato un ordine e mi aspetto che obbediate. È in corso una battaglia tra uomini, cavalli, Urgali e

forse anche draghi. Non è posto per nani, quello. Verreste calpestati come

bambini.» All'imprecazione furiosa di Narheim, alzò una mano. «So bene

che siete guerrieri impavidi. Nessuno lo sa meglio di me, dato che ho

combattuto accanto a voi nel Farthen Dûr. Tuttavia, non per insistere, ma

siete piccoli per i nostri canoni, e preferisco non rischiare di perdere dei

guerrieri come voi in una contesa in cui la vostra statura potrebbe esservi

fatale. È meglio se aspettate qui, su questa collinetta, dove sovrasterete

chiunque cerchi di arrampicarsi; aspettate che siano i soldati a venire da

voi. Se qualcuno di loro dovesse raggiungerci, saranno guerrieri così abili

e tremendi che vi voglio con me, tu e il tuo popolo, perché li respingiate.

Si sa, è più facile sradicare una montagna che sconfiggere un nano.» Scontento, Narheim bofonchiò qualcosa, ma nessuno riuscì a sentire le

sue parole perché in quel momento i Varden che Nasuada aveva schierato

varcarono l'apertura nel terrapieno dove prima c'era il cancello. Lo scalpiccio di piedi e lo sferragliare di armi e armature si affievolì a mano a mano

che gli uomini si allontanavano dall'accampamento. Poi il vento si placò,

trasformandosi in una brezza costante; dal luogo dov'era in atto lo scontro

giunse ancora quella lugubre risata.

Un istante dopo, un grido di incredibile intensità sbaragliò le difese mentali di Eragon e penetrò nella sua coscienza, colmandolo di angoscia. Sentì

un uomo dire: Ah, no! Aiutatemi! Non muoiono! Angvard, pensaci tu! Non

muoiono! Poi il contatto tra le loro menti svanì ed Eragon deglutì non appena comprese che quell'uomo era stato ucciso.

Nasuada si agitò in sella al suo destriero, con espressione tesa. «Chi era?»

«L'hai sentito anche tu?»

«A quanto pare l'abbiamo sentito tutti» rispose Arya.

«Credo che fosse Barden, uno degli stregoni che cavalcavano con Orrin,

ma...»

«Eragon!»

Mentre il re e i suoi uomini tenevano a bada i soldati nemici, Castigo volava in circolo sempre più in alto, ma adesso era sospeso a mezz'aria, immobile, a metà strada tra i soldati e l'accampamento, e la voce di Murtagh,

resa più profonda dalla magia, echeggiò per tutta la pianura: «Eragon! Ti

vedo, nascosto dietro le sottane di Nasuada. Vieni a combattere con me! È

il tuo destino. O sei un codardo, Ammazzaspettri?»

Saphira alzò la testa e rispose al posto suo, con un ruggito perfino più

forte dello stentoreo discorso di Murtagh, poi scaricò uno scoppiettante

getto di fuoco blu lungo venti piedi. I cavalli vicini a lei, compreso quello

di Nasuada, si diedero alla fuga, lasciando la dragonessa ed Eragon soli sul

terrapieno insieme agli elfi.

Arya si avvicinò e posò una mano sulla gamba sinistra di Eragon, poi lo

fissò con gli occhi verdi a mandorla. «Accettala da parte mia, Shur'tugal»

gli disse. Ed Eragon sentì un fiotto di energia scorrergli dentro. «Eka elrun ono» le sussurrò.

«Fa' attenzione» gli rispose Arya nell'antica lingua. «Non voglio vederti

sconfitto da Murtagh. Io...» Sembrava che volesse aggiungere dell'altro,

ma esitò, poi ritrasse la mano e tornò accanto a Blödhgarm.

«Buon volo, Bjartskular!» intonarono gli elfi, e Saphira si lanciò all'attacco.

Mentre la dragonessa puntava verso Castigo con un gran battito d'ali,

Eragon unì la sua mente prima con quella di lei poi con quella di Arya e,

attraverso di lei, con quelle di Blödhgarm e degli altri undici elfi. Poiché

Arya fungeva da punto di riferimento per gli elfi, Eragon poteva concentrarsi sui pensieri suoi e di Saphira; le conosceva entrambe così bene che le

loro reazioni non l'avrebbero distratto nel bel mezzo del combattimento. Afferrò lo scudo con la mano sinistra e sguainò il falcione, tenendolo

sollevato in modo da non ferire accidentalmente le ali, le spalle o il collo

di Saphira, che erano sempre in movimento. Sono contento di aver trovato

il tempo per rafforzare il falcione con la magia ieri sera, comunicò a Saphira e ad Arya.

Speriamo che i tuoi incantesimi reggano, replicò la dragonessa. Ricordati, intervenne Arya, di restare il più possibile vicino a noi. Più

lontani sarete, più difficoltà avremo a mantenere il contatto.

Saphira si avvicinava a Castigo, ma il drago rosso non le si scagliò contro e nemmeno la attaccò: fluttuava nel cielo con le ali dispiegate, consentendole di raggiungerlo indisturbata. Sfruttando le correnti ascensionali, i

due draghi si ritrovarono l'uno di fronte all'altra a una cinquantina di iarde

di distanza, la punta delle code nervosa, il muso deformato in un ringhio

feroce.

È più grande, osservò Saphira. Non sono passate nemmeno due settimane dall'ultima volta che abbiamo combattuto ed è cresciuto di altri quattro

piedi, se non di più.

Aveva ragione. Castigo era più lungo e aveva il petto più largo rispetto

alla battaglia delle Pianure Ardenti. Benché fosse ancora un cucciolo, era

già grande quasi quanto Saphira.

Seppur con riluttanza, Eragon distolse lo sguardo dal drago e lo posò sul

Cavaliere.

Murtagh aveva il capo scoperto e i suoi lunghi capelli neri ondeggiavano

come una morbida, lucente criniera. Sul volto aveva un'espressione arcigna: Eragon non l'aveva mai visto così, e sapeva che stavolta non avrebbe

avuto nessuna pietà; non poteva. Ridotto di molto il volume della voce,

benché fosse ancora più sonora del normale, Murtagh disse: «Tu e Saphira

ci avete provocato molto dolore, Eragon. Galbatorix era furioso con noi

perché vi abbiamo lasciato andare. E dopo che avete ucciso i Ra'zac era

così arrabbiato che ha fatto a pezzi cinque dei suoi servitori e poi ha rivolto

la sua ira contro me e Castigo. Abbiamo sofferto orribilmente per causa

vostra. Non accadrà più.» Portò indietro il braccio, come se Castigo fosse

sul punto di scattare in avanti e lui si stesse preparando a colpire. «Aspetta!» gridò Eragon. «Conosco un modo per liberarvi entrambi dal

giuramento prestato a Galbatorix.»

Un'espressione di disperato desiderio trasformò i lineamenti di Murtagh,

che abbassò appena Zar'roc di qualche pollice. Poi si accigliò, sputò verso

terra e gridò: «Non ti credo! È impossibile!»

«Invece sì! Lascia almeno che ti spieghi.»

Murtagh sembrava in lotta con se stesso, e per un istante Eragon pensò

che si sarebbe rifiutato di ascoltarlo. Castigo volse la testa e guardò il suo

Cavaliere, e un flusso di pensieri si trasmise dall'uno all'altro. «Accidenti a te, Eragon, ti sei servito di questa proposta come esca» esclamò Murtagh, e posò Zar'roc sul davanti della sella. «Ci eravamo già rassegnati al nostro destino; invece tu ci vuoi tormentare con lo spettro di una speranza che ormai avevamo abbandonato da tempo. Se questa speranza si dimostrerà vana, fratello, giuro che prima di portarti da Galbatorix ti taglierò la mano

destra... Tanto, per ciò che dovrai fare a Urû'baen non ti servirà.» A Eragon venne subito in mente una risposta adeguata, ma la tenne per

sé. «Galbatorix non avrebbe voluto che te lo dicessi, ma quando ero dagli

elfi...»

Eragon, non rivelare altro su di noi! esclamò Arya.

«... ho appreso che se si modifica il carattere, cambia anche il proprio

nome nell'antica lingua. La tua identità non è scolpita nella pietra, Murtagh! Se tu e Castigo riuscirete a cambiare qualcosa in voi, il vostro giuramento non sarà più vincolante e Galbatorix vi lascerà andare.» Castigo virò di parecchi iarde verso Saphira. «Perché non l'hai detto

prima?» domandò Murtagh.

«Allora ero troppo confuso.»

Una cinquantina di piedi separavano Castigo e Saphira. Abbandonata la

truce espressione di prima, il drago rosso arricciò appena il labbro di sopra,

tanto per mettere in guardia Saphira, e nei suoi scintillanti occhi cremisi

brillò un'immensa tristezza confusa, quasi sperasse che Saphira o Eragon

potessero spiegargli come mai era venuto al mondo solo perché Galbatorix

potesse renderlo suo schiavo, abusare di lui e costringerlo a distruggere la

vita di altri esseri viventi. Annusò Saphira, facendo vibrare la punta del naso. Anche lei lo annusò, la lingua che le guizzava fuori dalla bocca per

sentirne l'odore. E all'improvviso Eragon e Saphira provarono una profonda compassione per Castigo; tuttavia, pur desiderando parlare con lui, non

osarono aprirgli la loro mente.

Così da vicino, Eragon notò i tendini tesi sul collo di Murtagh e la vena

forcuta che gli pulsava in mezzo alla fronte.

«Io non sono malvagio!» gridò Murtagh. «Considerate le circostanze, ho

fatto meglio che potevo. Se nostra madre avesse ritenuto opportuno lasciare te a Urû'baen e nascondere me a Carvahall, invece, dubito che saresti

sopravvissuto.»

«Forse no.»

Murtagh si colpì il pettorale con un pugno. «Aha! Allora come faccio a

seguire il tuo consiglio? Se sono già buono, se meglio di così non avrei potuto essere, come faccio a cambiare? Devo forse diventare peggiore? Devo prima abbracciare le tenebre di Galbatorix per poi liberarmene? Non mi sembra una soluzione ragionevole. Se riuscissi a modificare la mia identità, il nuovo Murtagh non ti piacerebbe, e mi malediresti con la stessa forza

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