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Eragon passò un dito sotto la cintura, estrasse la seconda delle tre sfere d'oro e la consegnò a Helen, che la prese fra le mani con dolcezza, come se fosse un pulcino di pettirosso. Mentre la fissava meravigliata e Jeod tendeva il collo per sbirciare, Eragon disse: «Non è una fortuna, ma se sarete accorti, riuscirete a farla fruttare. Ciò che ha fatto Nasuada con il pizzo mi ha insegnato che la guerra offre ottime occasioni per arricchirsi.»

«Oh, sì» replicò Helen, senza fiato. «Le guerre sono la delizia dei mercanti.»

«Per esempio, ieri sera a cena Nasuada mi ha riferito che i nani sono a corto di idromele e, come potrai immaginare, hanno i mezzi per comprarne tutti i barili che vogliono, anche se il prezzo fosse mille volte più alto di prima della guerra. Ma il mio è solo un suggerimento. Se vi date da fare, potreste trovare altra gente più avida ancora di loro con cui entrare in affari.»

Quando Helen corse ad abbracciarlo, Eragon fece un passo indietro, barcollando. I capelli di lei gli solleticarono il collo. All'improvviso intimidita, Helen si allontanò, poi fu pervasa dall'eccitazione di prima, portò la sfera color miele davanti al naso e disse: «Grazie, Eragon! Oh, grazie!» Indicò l'oro. «So come utilizzarlo. Con questo costruirò un impero perfino più grande di quello di mio padre.» Fece sparire la sfera scintillante nel pugno chiuso. «Tu credi che la mia ambizione superi le mie capacità? Aspetta e vedrai. Non fallirò!»

Eragon le fece un inchino. «Spero che trarremo tutti beneficio dal tuo successo.»

Helen si inchinò a sua volta e gli rispose: «Sei molto generoso, Ammazzaspettri. Grazie ancora.» Eragon notò che le si tendevano i muscoli del collo.

«Sì, grazie» intervenne Jeod, alzandosi dal letto. «Non credo che ce lo meritiamo» - Helen gli scoccò un'occhiata furiosa, che lui ignorò - «ma lo apprezziamo molto.»

Improvvisando, Eragon aggiunse: «C'è un regalo anche per te, Jeod, non da parte mia, ma di Saphira. Non appena avrete entrambi un paio d'ore libere, ha accettato di portarti a fare un giro.» Dividere Saphira con altri lo addolorava e sapeva che lei si sarebbe indispettita perché non l'aveva consultata prima di offrire i suoi servigi a qualcuno, ma dopo aver dato l'oro a Helen si sarebbe sentito in colpa se non avesse offerto a suo marito qualcosa di pari valore.

Un velo di lacrime offuscò gli occhi di Jeod. Afferrò la mano di Eragon e gliela strinse, poi, senza lasciarla, disse: «Non posso immaginare un onore più grande. Grazie. Non sai quanto hai fatto per noi.»

Divincolandosi dalla stretta, Eragon raggiunse a passo lento l'ingresso della tenda, scusandosi con più garbo possibile e congedandosi. Alla fine, dopo un'altra tornata di ringraziamenti da parte degli ospiti e un suo modesto: «Non ho fatto proprio niente», riuscì a fuggire.

Fuori, sollevò il Domia abr Wyrda e poi osservò il sole. Saphira sarebbe tornata a breve, ma c'era ancora tempo per sbrigare un'altra faccenda. Prima però doveva tornare nella sua tenda; non voleva rischiare di sciupare il libro portandolo con sé per tutto l'accampamento.

Possiedo un libro, pensò, al settimo cielo.

Si avviò di buon passo, stringendo il volume al petto, seguito a ruota da Blödhgarm e dagli altri elfi.

MI SERVE UNA SPADA!

Nascosto il Domia abr Wyrda al sicuro nella sua tenda, Eragon andò nell'armeria dei Varden, un grande padiglione a cielo aperto zeppo di rastrelliere cariche di lance, spade, picche, archi e balestre. C'erano casse di legno traboccanti di scudi e armature di cuoio. Le cotte, le tuniche, le cuffie e i gambali più costosi erano appesi a ganci di legno. Centinaia di elmi conici scintillavano come argento lustro. Balle di frecce erano allineate lungo il perimetro e tra loro sedevano una ventina di arcieri, o forse più, impegnati a riparare i pennacchi danneggiati durante la battaglia delle Pianure Ardenti. Un flusso costante di uomini entrava e usciva di corsa: chi portava armi e cotte a far sistemare, chi nuove reclute da equipaggiare, chi trasportava attrezzature varie da una parte all'altra dell'accampamento. Sembrava che gridassero tutti a squarciagola. E nel bel mezzo di quel caos Eragon scorse la persona che sperava di incontrare: Fredric, il maestro d'armi dei Varden.

Si avviò verso di lui, Blödhgarm al suo fianco. Non appena furono sotto il tetto di tela, tutti i presenti ammutolirono, gli occhi fissi sui due nuovi arrivati. Poi ripresero le loro attività, ma più svelti e a voce più bassa.

Alzando un braccio in segno di benvenuto, Fredric corse loro incontro. Come sempre indossava l'irsuta corazza di pelle di bue che puzzava quasi quanto l'animale vivo, e a tracolla sulla schiena aveva un'immensa spada a doppia impugnatura; l'elsa gli spuntava dalla spalla destra. «Ammazzaspettri!» ringhiò. «Come posso aiutarti in questo bel pomeriggio?»

«Mi serve una spada.»

Dalla folta barba di Fredric spuntò un sorriso. «Ah, mi chiedevo se saresti mai venuto a trovarmi per questo. Quando sei partito per l'Helgrind senza una lama, ho pensato che di certe cose potessi ormai fare a meno, e che per combattere ti bastasse la magia.»

«No, non ancora.»

«Be', non posso dire che mi dispiaccia. Una buona spada fa comodo a chiunque, per quanto abile con gli incantesimi. Alla fine si risolve tutto a colpi di acciaio. Aspetta e vedrai: questa lotta contro l'Impero si concluderà solo quando la punta di una spada trafiggerà il cuore maledetto di Galbatorix. Eh, scommetterei la paga di un mese che perfino lui ha una spada, e la usa eccome, anche se è capace di sventrarci tutti come pesci solo schioccando le dita. La sensazione di stringere nel pugno del buon acciaio è impareggiabile.»

Mentre parlava, Fredric li condusse verso una fila di spade separate dalle altre. «Che tipo di spada stai cercando?» gli chiese. «Se ben ricordo, quella che avevi prima, Zar'roc, era a una mano. Con una lama ampia circa due pollici - dei miei, si intende - e la forma adatta sia per il colpo di taglio sia per la stoccata, giusto?» Eragon annuì, e il maestro d'armi grugnì e prese a tirar fuori dalla rastrelliera una spada dopo l'altra; dopo averle fatte roteare in aria, le riponeva, insoddisfatto. «Le lame degli elfi di solito sono meno spesse e più leggere delle nostre o di quelle dei nani per gli incantesimi che impongono all'acciaio. Se le nostre fossero sottili come le loro, non durerebbero più di un minuto in battaglia prima di piegarsi, rompersi o scheggiarsi tanto da non servire più nemmeno per tagliare un formaggio morbido.» Scoccò una rapida occhiata a Blödhgarm. «Non è così, elfo?»

«È come dici tu, umano» rispose lui con voce perfettamente modulata.

Fredric annuì e osservò il bordo di un'altra spada, poi sbuffò e la rimise al suo posto. «È probabile che qualunque spada tu scelga sia più pesante di quella a cui eri abituato. Non dovrebbe essere un grosso problema per te, Ammazzaspettri, ma potrebbe diminuire la velocità degli affondi.»

«Grazie per l'avvertimento» disse Eragon.

«Figurati» rispose Fredric. «Sono qui apposta per evitare ai Varden di farsi sterminare e per aiutarli a far fuori il maggior numero possibile di maledetti soldati di Galbatorix. È un bel lavoro.» Poi passò a un'altra rastrelliera, nascosta dietro una pila di scudi rettangolari. «Trovare la spada giusta per ognuno è di per sé un'arte. Devi sentirla come un'estensione del tuo braccio, come se ti fosse spuntata dalla carne. Non devi pensare prima di usarla, ma farti guidare dall'istinto, come fa un'egretta con il becco o un drago con gli artigli. La spada perfetta è l'incarnazione del tuo intento: fa ciò che vuoi.»

«Sembri un poeta.»

Con espressione modesta, Fredric si strinse nelle spalle. «Sono ventisei anni che scelgo le armi per uomini pronti a marciare in combattimento. Dopo un po' è un lavoro che ti entra nelle ossa e ti induce a concentrarti su pensieri come il fato e il destino. "Chissà se quel ragazzo che ho congedato con un'alabarda sarebbe ancora vivo se invece gli avessi dato una mazza": cose del genere, insomma.» Fredric indugiò con la mano sulla spada al centro della rastrelliera e guardò Eragon. «Preferisci combattere con o senza scudo?»

«Con. Ma non ce la faccio a reggerlo tutto il tempo. E quando mi attaccano, sembra che non ce ne sia mai uno a portata di mano.»

Fredric tamburellò sull'elsa della spada e si mordicchiò la punta della barba. «Uff... Dunque ti serve una spada con cui difenderti anche senza avere altre armi, ma che non sia troppo lunga e vada bene per qualunque tipo di scudo, rotondo o rettangolare che sia. Ovvero una spada di medie dimensioni, facile da maneggiare con una mano sola. E poi dev'essere adatta per ogni occasione, abbastanza elegante per una cerimonia di incoronazione e tanto solida da respingere una banda di Kull.» Fece una smorfia. «Ciò che ha fatto Nasuada, allearsi con quei mostri, è contro natura. Non può funzionare. Noi e loro non siamo fatti per stare insieme...» Si riscosse. «È un peccato che ti serva una spada sola. O mi sbaglio?»

«No. Io e Saphira siamo sempre in viaggio e non ne possiamo portare con noi cinque o sei.»

«Suppongo che tu abbia ragione. E poi non ci si aspetta che un guerriero come te ne abbia più d'una. È la maledizione del nome, come la chiamo io.»

«Sarebbe?»

«Ogni grande guerriero brandisce una spada che ha un nome, e dico spada perché di solito è quella l'arma prediletta» gli spiegò. «O lo sceglie lui oppure, dopo aver dimostrato la propria abilità in qualche straordinaria impresa, lo scelgono i bardi. Da lì in poi è costretto a usare sempre quella, perché tutti si aspettano di vederlo con quella. Se si presenta in battaglia senza, i suoi compagni d'armi gli chiederanno dov'è e si domanderanno se per caso si vergogna del proprio successo o se li insulta rifiutando le lodi che gli hanno tributato. Perfino i suoi nemici possono rifiutarsi di combattere se non brandisce la sua blasonata lama. Aspetta e vedrai; non appena combatterai contro Murtagh o farai qualcos'altro di memorabile con la tua nuova spada, i Varden insisteranno per darle un nome. E da quel momento si aspetteranno di vedertela sempre alla cintura.» Mentre procedeva verso la terza rastrelliera, Fredric continuò: «Non avrei mai creduto di essere così fortunato da aiutare un Cavaliere a scegliere un'arma. Che occasione! È il momento più alto della mia carriera da quando sono con i Varden.»

Scelse una spada e la consegnò a Eragon, che la soppesò puntandola in alto e quindi in basso, e poi scosse la testa; la forma dell'elsa non si adattava alla sua mano. Il maestro d'armi non sembrava deluso; al contrario, quel rifiuto parve rianimarlo, poiché la sfida lo solleticava. Gliene mostrò un'altra, ma Eragon scosse di nuovo la testa; il baricentro era troppo spostato in avanti per i suoi gusti.

«Quello che mi preoccupa è che, qualsiasi spada io ti dia, dovrà sopportare impatti violenti, capaci di distruggere una lama normale» disse Fredric, tornando alla rastrelliera. «A te serve un'arma forgiata da un nano. Eccezion fatta per gli elfi, i loro fabbri sono i più abili; anzi, a volte sono anche meglio.» Lo guardò di sottecchi. «Ma sto facendo le domande sbagliate! Come ti hanno insegnato a parare le stoccate? Lama contro lama? Mi sembra di ricordare che tu abbia fatto qualcosa di simile quando hai sfidato Arya nel Farthen Dûr.»

Eragon si accigliò. «E allora?»

«E allora?» Fredric rise sguaiato. «Non per mancarti di rispetto, Ammazzaspettri, ma se colpisci una lama nemica di taglio, rovinerai sia la sua arma che la tua. Forse con una spada incantata come Zar'roc non era un problema, ma con quelle che ho io sì, a meno che tu non voglia cambiare arma dopo ogni battaglia.»

A Eragon balenò in mente l'immagine dei bordi scheggiati della spada di Murtagh e si arrabbiò con se stesso per aver dimenticato una cosa tanto ovvia. Si era abituato a Zar'roc, che non si spuntava mai, non mostrava mai segni di usura e, per quanto ne sapeva lui, era immune a gran parte degli incantesimi. Non era nemmeno sicuro che la spada di un Cavaliere si potesse distruggere. «Per quello non devi preoccuparti; la proteggerò con la magia. Allora, devo aspettare tutto il giorno per avere ciò che mi serve?»

«Un'altra domanda, Ammazzaspettri. La tua magia durerà per sempre?»

Eragon si accigliò ancora di più. «Dato che me lo chiedi, no. C'è solo un'elfa che conosce i segreti delle spade dei Cavalieri, ma non ha voluto condividerli con me. L'unica cosa che posso fare io è trasferire nella spada una certa quantità di energia per impedire che venga danneggiata, almeno finché non arriva il colpo di grazia; a quel punto la spada tornerà allo stato originario e con ogni probabilità mi si frantumerà tra le mani alla prima occasione.»

Fredric si grattò la barba. «Ti prendo in parola, Ammazzaspettri. Dunque, fammi capire: a furia di colpire soldati, l'incantesimo si consumerà, e più forte colpisci, prima accadrà, giusto?»

«Giusto.»

«Allora dovrai evitare di combattere lama contro lama, perché in quel caso l'incantesimo si consumerà più in fretta che con qualunque altro affondo.»

«Non ho tempo, Fredric» tagliò corto Eragon, che stava perdendo la pazienza. «Non ho tempo di imparare una diversa tecnica di combattimento. L'Impero potrebbe attaccare da un momento all'altro. Devo concentrarmi ed esercitarmi su quello che so già fare, non cercare di padroneggiare una nuova serie di mosse.»

Fredric batté le mani. «Allora so io che cosa fa per te!» Raggiunse una cassa piena di armi e cominciò a rovistare, parlottando tra sé. «Prima questa... sì... poi quella... e poi vediamo come siamo messi.» Dal fondo estrasse un'enorme mazza nera con l'impugnatura flangiata.

Fredric la sfregò con una nocca. «Con questa puoi rompere una spada, aprire in due armature e fracassare elmi. Niente potrà scalfirla.»

«Ma è un bastone» protestò Eragon. «Un bastone di ferro.»

«E allora? Con la tua forza, puoi farla roteare come se fosse leggera quanto una canna. Con quest'arma seminerai il terrore sui campi di battaglia, fidati.»

Eragon scosse la testa. «No. Non mi piace distruggere tutto ciò che incontro. E poi se avessi avuto una mazza invece di una spada non avrei mai potuto uccidere Durza trafiggendogli il cuore.»

«Allora mi resta un'ultima alternativa, a meno che tu non insista per avere una spada tradizionale.» Fredric prese un'arma da un'altra sezione del padiglione e la portò a Eragon. Era un falcione, una spada diversa da quelle a cui era abituato, benché ne avesse già viste di simili tra i Varden. Aveva un pomello lustro, tondo, lucente come una moneta d'argento; una corta impugnatura di legno ricoperta di pelle nera; una guardia crociata curva decorata con una fila di rune dei nani; una lama singola lunga quanto il suo braccio, con una sottile scanalatura su ciascun profilo, vicina al lato piatto. La lama del falcione da un lato correva dritto; dall'altro, a circa sei pollici dalla fine, disegnava una sorta di piccolo spuntone, per poi curvare dolcemente verso la punta, aguzza come uno spillo. Con quella forma, le probabilità che la punta si piegasse o si spezzasse penetrando in un'armatura erano ridotte al minimo; inoltre l'estremità del falcione ricordava una zanna. A differenza di una spada a doppio taglio, il falcione era fatto per essere impugnato con la lama e la guardia crociata perpendicolari al terreno. L'aspetto più curioso, però, erano gli ultimi sei pollici della lama, compreso il bordo, che era grigio perla, più scuro del resto dell'acciaio, e lucido come uno specchio. Il confine tra le due parti non era netto: somigliava a una sciarpa di seta che fluttua al vento.

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