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Eragon ne verificò la consistenza. «Sì, hai ragione. Grazie.» Felda sorrise, e da lì in poi le donne lo coinvolsero nelle loro chiacchiere.

Mentre Eragon impastava, Saphira si crogiolava al sole in un praticello vicino. I bambini di Carvahall giocavano addosso a lei e nelle vicinanze; risa acute punteggiavano il mormorio più profondo delle voci degli adulti. Quando un paio di cani rognosi cominciarono ad abbaiarle contro, la dragonessa alzò la testa e grugnì, e i due animali corsero via tra i guaiti.

Eragon si guardò intorno: conosceva tutti, era cresciuto insieme a quelle persone. Horst e Fisk erano dalla parte opposta degli spiedi a costruire tavoli per la festa. Kiselt si sciacquava gli avambracci sporchi di sangue. Albriech, Baldor, Mandel e molti altri ragazzi trasportavano pali decorati con nastri verso la collina dove Roran e Katrina si sarebbero sposati. Morn il taverniere preparava da bere e sua moglie Tara lo aiutava reggendo tre caraffe e un barile. A poche centinaia di piedi di distanza, Roran gridava qualcosa a un uomo che cercava in tutti i modi di far voltare il suo mulo carico. Loring, Delwin e il piccolo Nolfavrell erano radunati nei paraggi a guardare. Con una sonora imprecazione, Roran afferrò il mulo per i finimenti e si affannò a farlo girare su se stesso. Quella scena divertì Eragon; non immaginava che il cugino potesse scaldarsi tanto né perdere le staffe così in fretta.

«Il potente guerriero è nervoso prima della contesa» osservò Isolde, una delle sei donne insieme a Eragon. Il gruppo scoppiò a ridere.

«Forse teme che gli faccia cilecca la spada durante la battaglia» rispose Birgit, mescolando acqua e farina. Risate allegre travolsero le donne. Eragon arrossì, tenne lo sguardo fisso davanti a sé e prese a impastare più veloce. Doppi sensi come quello erano all'ordine del giorno durante i matrimoni, e anche lui aveva fatto la sua parte in altre occasioni, ma lo sconcertava che questa volta avessero come bersaglio suo cugino.

Il suo pensiero andava non solo ai presenti, ma anche a chi non avrebbe potuto partecipare alle nozze: Byrd, Quimby, Parr, Hida, il giovane Elmund, Kelby e tutti gli altri che erano morti per colpa dell'Impero. Ma soprattutto pensò a Garrow. Quanto avrebbe desiderato che lo zio fosse ancora vivo per vedere suo figlio, acclamato come un eroe sia dagli abitanti del villaggio sia dai Varden, prendere in sposa Katrina e diventare un uomo a tutti gli effetti...

Eragon chiuse gli occhi e rivolse il viso al sole di mezzogiorno, sorridendo al cielo, soddisfatto. Era una bella giornata. L'aroma di lievito, farina, carne arrosto, vino appena versato, zuppe calde, dolcetti e caramelle disciolte si diffuse per tutto lo spiazzo. I suoi amici e i suoi famigliari erano radunati lì intorno per un'occasione di festa, non di lutto. E per il momento lui e Saphira erano al sicuro. Ecco, la vita dovrebbe essere sempre così.

Un corno risuonò per l'accampamento, un suono acuto, innaturale, isolato.

Ancora.

E ancora.

Si bloccarono tutti, incerti sul significato di quelle tre note.

L'accampamento rimase in silenzio per un po', fatta eccezione per gli animali, poi cominciarono a rimbombare i tamburi di guerra dei Varden. Scoppiò il caos. Le madri correvano a cercare i loro figli e i cuochi spegnevano i falò con l'acqua, mentre tutti, uomini e donne, si precipitavano sulle armi.

Eragon schizzò verso Saphira proprio mentre la dragonessa si stava rialzando. Dilatò la mente, trovò Blödhgarm e non appena gli elfi abbassarono la guardia disse: Ci vediamo all'entrata nord.

Agli ordini, Ammazzaspettri.

Eragon si lanciò in groppa a Saphira. Non appena le ebbe gettato una gamba sul collo, la dragonessa superò con un balzo quattro file di tende, poi atterrò e saltò una seconda volta con le ali semichiuse. Non volava, ma procedeva a balzi, come un puma che attraversa un fiume impetuoso. Ogni volta che toccavano terra, Eragon digrignava i denti, gli tremava la schiena e gli sembrava di cadere. Tra un balzo e l'altro, in mezzo a guerrieri spaventati che si scansavano al loro passaggio, Eragon rintracciò Trianna e gli altri membri del Du Vrangr Gata, si mise in contatto con loro e li organizzò per la battaglia.

Qualcuno che non faceva parte del Tortuoso Cammino gli si insinuò nei pensieri. Eragon si ritrasse, barricando la propria coscienza dietro alte mura, poi capì che si trattava di Angela l'erborista e accettò il contatto. Sono con Nasuada ed Elva, gli disse. La regina vuole che tu e Saphira la raggiungiate all'entrata nord e...

Subito. Sì, sì, ci stiamo andando. Ed Elva? Riesce a sentire qualcosa?

Dolore. Molto dolore. Il tuo. Dei Varden. Di tutti. Mi dispiace, in questo momento non è in sé. È troppo per lei. La farò dormire finché la violenza non si sarà placata. Poi Angela troncò la comunicazione.

Come un falegname che dispone i propri attrezzi e li esamina prima di cominciare un nuovo progetto, Eragon passò in rassegna gli incantesimi di protezione che aveva evocato per sé, Saphira, Nasuada, Arya e Roran. Sembrava tutto a posto.

Saphira si fermò davanti alla tenda di Eragon, scavando solchi con gli artigli nella terra battuta. Eragon saltò giù e cadde rotolando non appena ebbe toccato il suolo, poi si rialzò con un balzo, si precipitò dentro e strada facendo cominciò a sfilarsi la cintura a cui era legato il falcione. Poi la tolse e, rovistando sotto la branda, recuperò l'armatura. Infilò la testa nel freddo e pesante usbergo di maglia e se lo sistemò sulle spalle, con un suono simile a un tintinnio di monete. Lo legò sotto il collo, infilò al di sopra la cuffia e poi si ficcò in testa l'elmo. Infine recuperò la cintura e se la riallacciò in vita. Con i gambali e i parabraccia nella mano sinistra, infilò il mignolo nello spallaccio dello scudo, afferrò la pesante sella di Saphira con la mano destra e schizzò fuori dalla tenda.

Gettata a terra l'armatura con un sonoro clangore, issò la sella sulle ampie spalle di Saphira e ci si arrampicò sopra. Per la fretta e l'eccitazione, oltre che per l'angoscia, non riusciva a stringere le cinghie.

Saphira si spostò. Muoviti. Ci stai mettendo troppo tempo.

Sì! Faccio più veloce che posso! Che tu sia così grossa non mi aiuta molto, accidenti!

Saphira grugnì.

Nell'accampamento ferveva una febbrile attività: uomini e nani sciamavano in fiumi tonanti verso nord, pronti a rispondere al richiamo dei tamburi di guerra.

Eragon raccolse l'armatura, montò su Saphira e si sistemò in sella. Con un improvviso battito d'ali, uno scatto d'accelerazione, una raffica d'aria vorticosa e lo stridulo lamento dei parabraccia contro lo scudo, la dragonessa spiccò il volo. Mentre procedevano rapidi verso l'estremità nord dell'accampamento, Eragon si legò i gambali agli stinchi, tenendosi stretto a Saphira con la sola forza delle gambe. Appese lo scudo a una delle punte cervicali della dragonessa, poi incastrò i parabraccia tra la pancia e il davanti della sella. Quando ebbe terminato di fissarli, fece scivolare le gambe negli appositi alloggiamenti di pelle posti su entrambi i lati della sella, poi strinse le fibbie una per una.

Passò una mano sulla cintura di Beloth il Savio. Ricordò che aveva esaurito tutta l'energia per curare Saphira sull'Helgrind e gemette. Avrei dovuto metterne da parte un po'!

Andrà tutto bene, disse Saphira.

Si stava sistemando i parabraccia quando la dragonessa curvò ad arco le ali, avvolgendo l'aria con le sue membrane translucide, e si impennò, posandosi sulla cresta di uno dei terrapieni che circondavano l'accampamento. Nasuada era già lì, seduta sul suo immenso destriero, Tempesta. Accanto a lei c'erano Jörmundur, anch'egli a cavallo, Arya, che invece era a piedi, e i Falchineri di guardia al momento, capitanati da Khagra, uno degli Urgali che Eragon aveva incontrato sulle Pianure Ardenti. Blödhgarm e gli altri elfi emersero dalla foresta di tende alle loro spalle e si disposero vicino a Eragon e a Saphira. Da un'altra parte dell'accampamento arrivarono al galoppo re Orrin e il suo seguito; a mano a mano che si avvicinavano a Nasuada, riportarono al passo i destrieri imbizzarriti. A ruota arrivarono anche Narheim, il capo dei nani, e tre dei suoi guerrieri, in groppa a pony equipaggiati con armature di maglia e pelle. Nar Garzhvog sopraggiunse di corsa dai campi a est, preceduto di parecchi secondi dal tonfo dei suoi passi pesanti. Nasuada gridò alle guardie all'entrata nord di aprire il cancello di legno grezzo e farlo entrare, anche se volendo avrebbe potuto abbatterlo.

«Chi ci sta attaccando?» grugnì, scalando il terrapieno con quattro lunghe falcate che di umano avevano ben poco. I cavalli si ritrassero davanti al gigantesco Urgali.

«Guarda» indicò Nasuada.

Eragon stava già studiando il nemico. Sulla vicina riva del fiume Jiet, a circa due miglia di distanza, erano approdate cinque navi affusolate, nere come la pece, e avevano scaricato uno sciame di uomini vestiti con i colori dell'esercito di Galbatorix. Catturando e riflettendo la luce con le spade, le lance, gli scudi, gli elmi e le cotte di maglia, il manipolo scintillava come acqua sferzata dal vento sotto il sole d'estate.

Arya si schermò gli occhi con una mano e guardò i soldati in tralice. «Stimo che siano tra le duecentosettanta e le trecento unità.»

«Perché così pochi?» si domandò Jörmundur.

Re Orrin si accigliò. «Galbatorix non può essere così folle da credere di poterci distruggere con un battaglione tanto esiguo!» Si sfilò l'elmo a forma di corona e si asciugò la fronte con un angolo della tunica. «Potremmo spazzarli via senza perdere nemmeno un uomo.»

«Forse» rispose Nasuada. «O forse no.»

Biascicando le parole, Garzhvog aggiunse: «Il Re Drago è un falso traditore, un ariete farabutto, ma non è un pazzo. Anzi, è astuto come una donnola assetata di sangue.»

I soldati si disposero in ranghi ordinati e poi cominciarono a marciare verso i Varden.

Un giovane messaggero corse da Nasuada, che si chinò ad ascoltare, poi lo congedò. «Nar Garzhvog, i tuoi sono al sicuro dentro l'accampamento. Si sono raccolti vicino all'entrata est, aspettano che tu vada da loro e prenda il comando.»

Garzhvog grugnì, ma rimase dov'era.

Guardando di nuovo i soldati che si stavano avvicinando, Nasuada aggiunse: «Non mi viene in mente nessun motivo valido per attaccarli allo scoperto. Possiamo abbatterli con gli arcieri non appena saranno a tiro. E una volta arrivati al terrapieno si disperderanno per via delle trincee e della palizzata. Non sopravviverà nessuno.» Concluse il discorso con evidente soddisfazione.

«Quando faranno la prima mossa, io e i miei cavalieri potremmo attaccarli alle spalle» suggerì Orrin. «Rimarranno così sorpresi che non avranno nemmeno il tempo di difendersi.»

«L'andamento della battaglia può...» stava replicando Nasuada quando il corno d'ottone che aveva annunciato l'arrivo dei soldati suonò ancora, così forte che Eragon, Arya e gli altri elfi si coprirono le orecchie. Eragon sussultò di dolore.

Da dove viene? chiese a Saphira.

Credo che sia più importante chiedersi perché i soldati ci vogliono avvisare prima di sferrare l'attacco, sempre che questo corno sia loro.

Forse è un diversivo, oppure...

Eragon dimenticò quello che stava per dire non appena scorse un certo movimento sulla riva opposta del fiume Jiet, dietro un velo di dolenti salici. Rosso come un rubino immerso nel sangue, rosso come il ferro incandescente pronto per essere forgiato, rosso come un tizzone ardente di odio e rabbia, sopra le languide chiome apparve Castigo. E sul dorso dello scintillante drago sedeva Murtagh con la lucente armatura d'acciaio, brandendo Zar'roc sopra la testa.

Sono qui per noi, disse Saphira. A Eragon si torsero le budella, e sentì il terrore della dragonessa scorrergli nella mente come una corrente d'acqua biliosa.

FUOCO NEL CIELO

Mentre osservava Castigo e Murtagh salire in alto nel cielo verso nord, Eragon sentì Narheim sussurrare «Barzûl» e poi maledire Murtagh perché aveva ucciso Rothgar, il re dei nani.

Arya distolse lo sguardo. «Nasuada, Maestà» disse poi, facendo guizzare gli occhi da lei a Orrin, «devi fermare quei soldati prima che raggiungano l'accampamento. Non puoi permettere che attacchino le nostre linee difensive, altrimenti spazzeranno via i bastioni come un'onda di burrasca e scateneranno un indicibile scompiglio tra le tende, dove non siamo in grado di rispondere con efficacia.»

«Come? "Un indicibile scompiglio"?» ripeté Orrin in tono di scherno. «Hai così scarsa fiducia nelle nostre capacità, ambasciatrice? Forse gli umani e i nani non sono abili come voi elfi, ma non avremo difficoltà a sbarazzarci di questi poveri disgraziati, te lo assicuro.»

I lineamenti di Arya si irrigidirono. «Le vostre capacità non hanno uguali, mio re, non ne dubito, ma ascoltami bene: questa è una trappola tesa per Eragon e Saphira. Loro...» - alzando un braccio di scatto indicò le due sagome in volo di Castigo e Murtagh - «... sono venuti per catturarli e portarli a Urû'baen. Galbatorix non avrebbe mandato così pochi uomini se non fosse stato sicuro che avrebbero tenuto i Varden occupati abbastanza a lungo da permettere a Murtagh di sconfiggere Eragon. Di sicuro sono protetti da incantesimi che lui stesso ha evocato. Di che cosa si tratti non so, ma di una cosa sono certa: quei soldati sono più forti di quanto sembra, dunque dobbiamo impedire loro di entrare nell'accampamento.»

Riavutosi dall'iniziale stupore, Eragon aggiunse: «Non dobbiamo permettere a Castigo di volare sopra le tende. Potrebbe incendiarne la metà in un colpo solo.»

Nasuada afferrò il pomolo della sella con entrambe le mani, in apparenza indifferente a Murtagh, a Castigo e ai soldati, che ormai erano a meno di un miglio di distanza. «Ma perché non coglierci di sorpresa, allora?» chiese. «Perché avvisarci della loro presenza?»

Fu Narheim a risponderle. «Perché non volevano che Eragon e Saphira fossero coinvolti nel combattimento. Forse mi sbaglio, ma il loro piano è che affrontino Murtagh e Castigo in cielo mentre i soldati ci attaccano a terra.»

«Allora vi pare saggio esaudire il loro desiderio e far cadere di proposito

Eragon e Saphira nella loro trappola?» Nasuada sollevò un sopracciglio. «Sì» insisté Arya, «perché abbiamo un vantaggio che loro non sospetta

no nemmeno.» Indicò Blödhgarm. «Stavolta Eragon non affronterà Murtagh da solo, ma si potrà avvalere della forza congiunta di tredici elfi. Murtagh non se lo aspetta. Se blocchi i soldati prima che ci raggiungano, avrai mandato all'aria metà del piano di Galbatorix. Se poi mandi Eragon e Saphira a combattere, forti dell'appoggio dei più potenti tra gli stregoni della

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