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Eragon lo ringraziò e si avviò. Il ripetitivo clangore metallico riprese, chiaro quanto i rintocchi di una campana, acuto e penetrante come un ago di vetro che fende l'aria. Eragon si tappò le orecchie e sorrise. Lo confortava che la determinazione di Horst non fosse venuta meno, anche se aveva perso casa e ricchezza, e che fosse rimasto quello di prima. Per certi versi la coerenza e la determinazione del fabbro rinnovarono la sua fiducia nel fatto che, se fossero riusciti a detronizzare Galbatorix, alla fine sarebbe tornato tutto al suo posto, e la sua vita e quella degli altri abitanti del villaggio avrebbe riacquistato una parvenza di normalità.

Poco dopo arrivò al campo dove gli uomini di Carvahall si stavano esercitando con le nuove armi. Gedric era lì, come aveva immaginato Horst, e combatteva con Fisk, Darmmen e Morn. Bastò un veloce scambio di battute con il veterano monco di un braccio che conduceva l'addestramento perché Gedric ne fosse dispensato.

Il conciatore gli corse incontro e gli si parò davanti, lo sguardo rivolto a terra. Era basso e scuro di carnagione; aveva la mascella di un mastino e folte sopracciglia, e a furia di mescolare il contenuto delle botti maleodoranti in cui conciava le pelli, le braccia gli erano diventate forti e nodose. Benché fosse tutt'altro che bello, Eragon sapeva che era un uomo gentile e onesto.

«Posso fare qualcosa per te, Ammazzaspettri?» bofonchiò.

«L'hai già fatto. E sono venuto a ringraziarti e ricompensarti.»

«Io? E in che modo ti avrei aiutato, sentiamo?» Parlava piano, con cautela, come temendo che Eragon gli stesse tendendo una trappola.

«Subito dopo la mia fuga da Carvahall, hai scoperto che qualcuno ti aveva rubato tre pelli di vacca dalla casupola in cui le metti ad asciugare, vicino alle botti. Giusto?»

Per l'imbarazzo, Gedric si adombrò e prese a sfregare i piedi per terra. «Ah... be', non l'avevo chiusa a chiave. Chiunque poteva intrufolarsi dentro e portare via quelle pelli. E considerato cos'è successo poi, non capisco che differenza fa. Ho distrutto quasi tutte le pelli prima di marciare sulla Grande Dorsale per evitare che l'Impero e quegli schifosi dei Ra'zac mettessero gli artigli su qualcosa di utile. Chiunque le ha prese mi ha solo risparmiato la fatica di doverne distruggere altre tre. Ormai quel che è stato è stato.»

«Forse» rispose Eragon, «ma il mio senso dell'onore mi spinge a confessarti che il colpevole sono io.»

A quel punto Gedric alzò la testa e lo guardò come se fosse una persona qualunque, senza paura, timore o reverenza, quasi il conciatore stesse rivalutando l'opinione che aveva di lui.

«Le ho rubate io e non ne vado fiero, ma mi servivano. Senza di esse dubito che sarei sopravvissuto abbastanza a lungo da raggiungere gli elfi nella Du Weldenvarden. Ho sempre preferito pensare di averle prese in prestito, ma la verità è che le ho rubate, perché non avevo alcuna intenzione di restituirle. Quindi accetta le mie scuse. E poiché le pelli le ho ancora io, perlomeno ciò che ne resta, pagartele mi sembra il minimo.» Eragon prese dalla cintola una delle tre sfere d'oro - dure, rotonde e intiepidite dal calore della sua pelle - e la consegnò a Gedric.

L'uomo fissò la scintillante perla di metallo: aveva l'enorme mascella serrata e rughe dure e inflessibili attorno alle labbra sottili. Non mancò di rispetto a Eragon soppesando l'oro o mordendolo, ma non appena riacquistò il dono della parola disse: «Non posso accettarla. Un tempo ero un bravo conciatore, ma le mie pelli non valevano tanto. La tua generosità ti rende merito, ma se accettassi quest'oro non sarei in pace con me stesso. Sarebbe come se non me lo fossi guadagnato.»

Per nulla sorpreso, Eragon rispose: «Non negheresti a qualcuno la possibilità di contrattare un prezzo più onesto, vero?»

«No.»

«Bene. Io non faccio eccezione, dunque. Di solito si gioca al ribasso, ma diciamo che in questo caso ho scelto di puntare al rialzo. Contratterò comunque con impegno, come se volessi risparmiare una manciata di monete. Per me le tue pelli valgono quell'oro fino all'ultima oncia, e non ti pagherò un solo soldo di meno, nemmeno se mi puntassi un coltello alla gola.»

Gedric strinse le dita massicce attorno alla sfera d'oro. «Visto che insisti, non sarò così villano da continuare a rifiutare. Nessuno può dire che Gedric Ostvensson si è lasciato sfuggire una fortuna perché era troppo occupato ad affermare il proprio scarso valore. Ti ringrazio, Ammazzaspettri.» Avvolse la sfera in una pezza di lana perché non si graffiasse e la ripose in una sacca che teneva legata alla cintola. «Garrow ha fatto un buon lavoro con te, Eragon. Anche con Roran. Sarà stato anche aspro come l'aceto e duro e secco come una rapa invernale, ma vi ha tirati su bene. Sono sicuro che sarebbe stato orgoglioso di voi.»

Eragon sentì un'inaspettata emozione stringergli il petto.

Gedric si voltò per raggiungere i compagni, poi ebbe un ripensamento. «Posso chiederti perché quelle tre pelli valevano tanto per te, Eragon? Che cosa ne hai fatto?»

Eragon ridacchiò. «Che cosa ne ho fatto? Con l'aiuto di Brom ho confezionato una sella per Saphira. Non la mette più spesso come prima, almeno non da quando gli elfi ce ne hanno data una apposta per draghi, ma si è rivelata utilissima in più di un combattimento e in parecchie situazioni pericolose, perfino nella battaglia del Farthen Dûr.»

Sbalordito, Gedric inarcò le sopracciglia, lasciando intravvedere uno strato di pelle chiara che di solito restava nascosto tra le rughe profonde. Come un taglio netto in un masso di granito grigio-azzurro, gli si dipinse sul viso squadrato un largo sorriso, che ne trasformò i lineamenti. «Una sella!» esclamò senza fiato. «Ma te lo immagini? Ho conciato la pelle per la sella di un Cavaliere dei Draghi! E nemmeno lo sapevo! No, non di un Cavaliere, del Cavaliere. Colui che alla fine sconfiggerà il nero tiranno! Se solo mio padre potesse vedermi ora!» Poi prese a scalciare, sollevando i talloni, e improvvisò una giga. Senza smettere di sorridere, fece un inchino a Eragon e tornò trotterellando dagli abitanti del villaggio, poi cominciò a raccontare la sua storia a chiunque fosse a portata d'orecchio.

Ansioso di darsela a gambe prima di ritrovarsi circondato, Eragon scivolò via tra le file di tende, soddisfatto. Forse ci metto un po' più del dovuto, pensò, ma li saldo sempre, i miei debiti.

Ben presto si ritrovò davanti a un'altra tenda, vicina all'estremità orientale dell'accampamento, e bussò al palo d'ingresso.

Sentì un sonoro fruscio, poi i due lembi di stoffa si aprirono di scatto e comparve Helen, la moglie di Jeod, che guardò Eragon con espressione gelida. «Sei venuto per parlare con lui, suppongo.»

«Se c'è...» Eragon sapeva benissimo che l'avrebbe trovato, perché riusciva a leggere nel pensiero di entrambi con la stessa facilità.

Per un momento pensò che la donna avrebbe negato la presenza del marito, poi però Helen si strinse nelle spalle e si fece da parte. «Allora entra pure.»

Eragon trovò Jeod seduto su uno sgabello, immerso in un assortimento di pergamene, libri e fasci di fogli sparsi ammucchiati su una branda senza coperte. Una sottile ciocca di capelli gli pendeva dalla fronte, seguendo il profilo della cicatrice che serpeggiava fino alla tempia sinistra.

«Eragon!» gridò non appena lo vide, e le rughe di concentrazione che gli si erano formate sul volto si spianarono. «Benvenuto, benvenuto!» Gli strinse la mano e poi gli offrì lo sgabello. «Siediti, io mi metterò su un angolo del letto. No, ti prego, sei nostro ospite. Vuoi qualcosa da bere o da mangiare? Nasuada ci dà una razione extra, dunque non fare complimenti, non patiremo la fame per causa tua. È un ben misero pasto rispetto a quello che ti abbiamo servito a Teirm, ma nessuno, nemmeno un re, dovrebbe andare in guerra e aspettarsi di mangiare bene.»

«Una tazza di tè la berrei volentieri» rispose Eragon.

«Vada per tè e biscotti, allora.» Jeod scoccò un'occhiata a Helen.

Stizzita, la donna raccolse il bollitore da terra e se lo appoggiò su un fianco, poi ci infilò il beccuccio di una borraccia di pelle e la premette. Il bollitore echeggiò con un suono basso e continuo man mano che si riempiva. Helen strinse le dita attorno al collo della borraccia, limitando il getto d'acqua a un languoroso gocciolio. Rimase così, con lo sguardo assente di chi sta svolgendo un compito ingrato, mentre le gocce d'acqua continuavano a produrre quel rumore irritante.

Sul viso di Jeod balenò un sorriso di scuse. In attesa che Helen terminasse, fissò un frammento di carta che aveva accanto al ginocchio. Eragon, invece, esaminò una piega su un lato della tenda.

Il pomposo gocciolio continuò per più di tre minuti.

Una volta riempito il bollitore, Helen appese la borraccia ormai vuota a un gancio sul palo centrale della tenda e uscì come una furia.

Eragon guardò Jeod alzando un sopracciglio.

Lui allargò le braccia. «La posizione che occupo tra i Varden non è così importante come sperava, e lei ne dà la colpa a me. Ha acconsentito a fuggire da Teirm convinta che Nasuada mi avrebbe accolto nella cerchia più ristretta dei suoi consiglieri e concesso terre e ricchezze degne di un nobile signore o chissà quale altra generosa ricompensa per aver aiutato a rubare l'uovo di Saphira tanti anni fa, o almeno così credo io, ma non aveva fatto i conti con la vita poco affascinante di un semplice soldato: dormire in una tenda, procurarsi il cibo, fare il bucato e via discorrendo. Non che ricchezza e prestigio siano le sue uniche preoccupazioni, ma devi capirla: in fondo apparteneva a una delle più ricche famiglie di commercianti di Teirm e da quando siamo sposati ho avuto ben poca fortuna. Non è avvezza a certe privazioni, deve ancora abituarsi a questa vita.» Alzò appena le spalle, poi le lasciò ricadere. «Io speravo tanto che questa avventura - sempre che meriti una definizione così romantica - avrebbe colmato la voragine che si era aperta tra noi negli ultimi anni, ma le cose sono sempre più complicate di quanto sembrano.»

«Ma tu ritieni che i Varden avrebbero dovuto mostrarti maggiore considerazione?» gli chiese Eragon.

«Non per me. Per Helen...» Jeod esitò. «Io voglio che sia felice. La ricompensa più grande per me è stata fuggire sano e salvo da Gil'head quando io e Brom fummo attaccati da Morzan, dal suo drago e dai suoi uomini; la soddisfazione di aver contribuito ad assestare un duro colpo a Galbatorix; riuscire a tornare alla mia vita precedente e servire comunque la causa dei Varden; e poi poter sposare Helen. Questa è la mia ricompensa, e sono più che soddisfatto. Ogni mio dubbio è stato fugato nel momento in cui ho visto Saphira levarsi in volo dal fumo delle Pianure Ardenti. Non so cosa fare con Helen, però. Ma dimentico che non sono problemi tuoi e non dovrei sfogarmi con te.»

Eragon toccò una pergamena con la punta dell'indice. «Allora dimmi che te ne fai di tutta questa carta. Sei diventato un copista?»

La domanda divertì Jeod. «Non direi proprio, anche se il mio lavoro è spesso altrettanto noioso. Poiché sono stato io a scoprire il passaggio segreto nel castello di Galbatorix a Urû'baen e sono riuscito a portare con me alcuni dei libri rari che avevo nella mia biblioteca a Teirm, Nasuada mi ha affidato il compito di cercare altri punti deboli nelle diverse città dell'Impero. Se riuscissi a trovare qualche allusione a un tunnel sotterraneo che conduce dentro le mura di Dras-Leona, per esempio, ci risparmieremmo un inutile spargimento di sangue.»

«Dove stai cercando?»

«Ovunque.» Jeod scostò il ciuffo di capelli che gli scendeva sulla fronte. «Storie, miti, leggende, poemi, canzoni, trattati religiosi, gli scritti di Cavalieri, maghi, viandanti, folli, oscuri potentati, generali vari e chiunque possa essere a conoscenza di una porta nascosta o un meccanismo segreto o qualcosa di simile che possiamo sfruttare a nostro vantaggio. La quantità di materiale da esaminare è immensa, perché ogni città è stata eretta secoli fa e alcune risalgono addirittura a prima dell'arrivo degli esseri umani in Alagaësia.»

«Pensi di riuscire a trovare qualcosa?»

«No, è improbabile. Di solito non si cava un ragno dal buco a tentare di svelare i segreti del passato. Ma se avessi abbastanza tempo, potrei anche farcela. Non ho dubbi che quanto sto cercando esiste; le città dell'Impero sono troppo antiche: è impossibile che non abbiano vie di accesso e di fuga clandestine. Ma che ne rimangano tracce scritte, e che tali resoconti siano in nostro possesso, è tutta un'altra questione. Chi è a conoscenza di botole nascoste e stratagemmi di siffatta natura di solito ha tutto l'interesse a tenere l'informazione per sé.» Jeod afferrò una manciata di fogli sulla branda e li avvicinò al viso, poi grugnì e li gettò da parte. «Sto cercando di risolvere indovinelli inventati da chi vuole che rimangano enigmi.»

Eragon e Jeod continuarono a parlare di altri argomenti meno importanti, poi comparve Helen con tre tazze fumanti di tè al trifoglio. Prendendo la sua, Eragon notò che la rabbia di prima sembrava svanita e si domandò se per caso la donna non avesse origliato la loro conversazione. Helen diede al marito la sua tazza e, da. qualche parte dietro Eragon, prese un piatto di metallo colmo di biscottini piatti e un vasetto di terracotta pieno di miele. Poi indietreggiò di qualche metro e si appoggiò al palo centrale, soffiando sul tè bollente.

Per educazione, Jeod attese che Eragon prendesse un biscotto dal piattino e lo addentasse, poi gli chiese: «A cosa devo l'onore, Eragon? Forse mi sbaglio, ma non credo che la tua sia solo una visita di piacere.»

Eragon bevve un sorso. «Dopo la battaglia delle Pianure Ardenti, ho promesso che ti avrei raccontato com'è morto Brom. Sono venuto per questo.»

Un grigio pallore si diffuse sulle guance esangui di Jeod. «Oh.»

«Se preferisci, non lo farò» si affrettò a chiarire Eragon.

A fatica Jeod scosse la testa. «No, continua. È solo che mi hai colto di sorpresa.»

Vedendo che non chiedeva alla moglie di andarsene, Eragon non capì se era il caso di continuare o meno, poi decise che non avrebbe fatto alcuna differenza se Helen o chiunque altro avesse ascoltato la storia. Con voce lenta e cauta, cominciò a narrare ciò che era successo da quando lui e Brom avevano lasciato la casa di Jeod. Descrisse l'incontro con la banda di Urgali, la ricerca dei Ra'zac a Dras-Leona, l'imboscata che quei mostruosi esseri deformi avevano teso loro fuori dalla città e l'agguato mortale ai danni di Brom, pugnalato dai Ra'zac messi in fuga da Murtagh.

Via via che raccontava le ultime ore di Brom, della gelida grotta di pietra arenaria in cui l'aveva assistito fino alla fine, del senso di disperazione che l'aveva assalito mentre lo guardava scivolare nell'oblio, del puzzo di morte che pervadeva l'aria secca, delle ultime parole di Brom, della tomba di pietra arenaria costruita con la magia e poi trasformata in un diamante puro da Saphira, Eragon sentì un nodo stringergli la gola.

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