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Accanto alla donna c'era una ragazza dall'aria seria, la cui bellezza da adolescente stava sbocciando in un'avvenenza più matura. I muscoli degli avambracci erano insolitamente sviluppati, come se fosse stata l'apprendista di un fabbro o di uno spadaccino, cosa piuttosto improbabile per una ragazza, per quanto forte potesse essere.
Angela aveva appena finito di dire loro qualcosa quando Eragon e Saphira si fermarono dietro la strega dai capelli ricci. Con un solo gesto, Angela raccolse gli ossi nel lembo di pelle e li ripose sotto la fascia gialla che aveva in vita. Si rialzò e rivolse ai due un sorriso radioso. «Però, che tempismo impeccabile! A quanto pare, arrivate sempre quando il pendolo del destino comincia a muoversi.»
«Il pendolo del destino?» domandò Eragon.
Angela fece spallucce. «Be', allora? Non è che mi possa inventare sempre chissà quale novità.» Indicò con un cenno le due sconosciute, che nel frattempo si erano alzate, e disse: «Eragon, concederai loro la tua benedizione? Hanno affrontato molti pericoli e davanti a loro si apre un cammino irto di difficoltà. Sono certa che ti saranno grate per qualunque protezione riceveranno da un Cavaliere dei Draghi come te.»
Eragon esitò. Sapeva che di rado Angela leggeva gli ossi di drago a chi richiedeva i suoi servigi - di solito solo a coloro con cui Solembum si degnava di parlare - perché una previsione di quel genere non era un numero di magia da ciarlatani ma una predizione in piena regola, in grado di svelare i misteri del futuro. Che avesse deciso di farlo per la bella donna con le cicatrici ai polsi e per la ragazza con gli avambracci da schermidore gli fece capire che erano due persone di spicco, che avevano o avrebbero avuto un ruolo importante nella costruzione della futura Alagaësia. A conferma dei suoi sospetti, scorse Solembum nella forma di un gattone con enormi orecchie pelose nascosto dietro una tenda vicina, intento a osservare la scena con enigmatici occhi gialli. Tuttavia Eragon era titubante, perseguitato dal ricordo della prima e unica benedizione che aveva impartito: a causa della sua scarsa familiarità con l'antica lingua aveva deviato il normale corso della vita di una bambina innocente.
Saphira, chiamò.
La dragonessa fece schioccare la coda. Non essere così restio. Hai imparato la lezione dai tuoi errori, non ne commetterai altri. Perché trattenerti dall'elargire la tua benedizione a chi potrebbe trarne vantaggio? Fallo, e stavolta fallo come si deve.
«Come vi chiamate?» domandò Eragon.
«Se non ti dispiace, Ammazzaspettri, i nomi hanno un potere, e preferiremmo che i nostri restassero segreti» rispose la donna alta e bruna, con un lieve accento di cui lui non riconobbe la provenienza. Teneva lo sguardo appena inclinato verso il basso, ma il tono di voce era fermo e inflessibile. La ragazza trattenne il respiro, sconvolta da tanta sfacciataggine.
Eragon annuì, né turbato né sorpreso, benché la reticenza della donna avesse solleticato ancora di più la sua curiosità. Gli sarebbe piaciuto sapere come si chiamavano, ma non era indispensabile. Si levò il guanto destro e posò il palmo sulla fronte calda della donna, che al contatto trasalì, ma non si ritrasse. Le si dilatarono le narici, gli angoli della bocca si assottigliarono e aggrottò le sopracciglia. Eragon la sentì tremare, come se il suo tocco le provocasse dolore e stesse combattendo contro l'istinto di scansargli il braccio. Eragon avvertì che Blödhgarm si stava avvicinando furtivo, pronto ad avventarsi sulla donna nel caso che si fosse rivelata ostile.
Sconcertato da quella reazione, Eragon fece breccia nella barriera della propria mente, si immerse nel flusso di magia e, con il potere dell'antica lingua, disse: «Atra guliä un ilian tauthr ono un atra ono waíse sköliro fra rauthr.» Infondendo energia alla frase, come se fossero le parole di un incantesimo, era certo che avrebbe modificato il corso degli eventi e di conseguenza migliorato il destino della donna. Fece attenzione a limitare la quantità di energia trasferita nella benedizione, perché altrimenti un incantesimo di quel genere gli avrebbe consumato il corpo fino a prosciugarne tutta la vitalità, lasciando solo un involucro vuoto. Nonostante la cautela, dissipò molte più energie del previsto; gli si annebbiò la vista e le gambe presero a tremare, minacciando di cedere.
Un momento dopo si riprese.
Fu con un senso di sollievo che tolse la mano dalla fronte della donna, e gli parve che lei ne fosse altrettanto felice, perché indietreggiò e si strofinò le braccia. Ebbe l'impressione che cercasse di ripulirsi da qualche sudicia sostanza.
Poi Eragon ripeté il procedimento con la ragazza. Mentre l'incantesimo veniva pronunciato, le si distese il viso come se sentisse la sua forza diventare parte del proprio corpo. Alla fine gli fece un inchino. «Grazie, Ammazzaspettri. Ti siamo debitrici. Spero che tu riesca a sconfiggere Galbatorix e l'Impero.»
Poi si voltò e fece per andarsene, ma si fermò non appena Saphira grugnì e protese la testa oltre Eragon e Angela, soffermandosi su di lei e sulla compagna. La dragonessa piegò il collo, alitò prima sul viso della donna e poi su quello della ragazza e, proiettando i propri pensieri con tanta forza da superare ogni barriera salvo le più solide - lei ed Eragon, infatti, avevano notato che la donna aveva una mente difficile da penetrare - disse: Buona caccia, creature della foresta. Possa il vento sospingere le vostre ali, possa il sole splendere sempre alle vostre spalle e possiate catturare le vostre prede cogliendole alla sprovvista. E tu, Occhi di Lupo, spero che quando troverai colui che ti ha mozzato le zampe nelle sue trappole tu non lo uccida subito.
Non appena Saphira cominciò a parlare, entrambe le donne si irrigidirono. Poi la più anziana si batté un pugno sul petto e disse: «Non accadrà, o Leggiadra Cacciatrice.» Infine si inchinò ad Angela e le disse: «Lavora sodo, colpisci per prima, Veggente.»
«Salute, Cantalama.»
Con un fruscio di sottane, le due donne si allontanarono e presto sparirono nel dedalo delle tende grigie.
Stavolta niente segni sulla fronte? chiese Eragon a Saphira.
Elva è un'eccezione. Non marchierò più nessuno così. Ciò che accadde nel Farthen Dûr... be', ormai è acqua passata. È stato l'istinto a guidarmi. Più di questo non posso spiegarti.
Mentre i tre si incamminavano verso il padiglione di Nasuada, Eragon scoccò uno sguardo ad Angela. «Chi erano quelle due?»
Lei storse le labbra. «Pellegrine impegnate nella loro ricerca.»
«Non mi pare una gran risposta» si lamentò Eragon.
«Non è mia abitudine distribuire segreti come noccioline caramellate durante il solstizio d'inverno. Soprattutto se appartengono ad altri.»
Eragon rimase in silenzio per un po'. «Se qualcuno si rifiuta di rivelarmi un'informazione, mi rende solo più deciso a scoprire la verità. Detesto non sapere le cose. Una risposta non data è come una spina nel fianco che mi fa male ogni volta che mi muovo, almeno finché non riesco a estrarla» aggiunse.
«Hai tutta la mia solidarietà.»
«Perché?»
«Se le cose stanno così, ho il sospetto che tu passi tutto il giorno in preda a un dolore mortale, perché la vita è piena di domande a cui non si trova risposta.»
A una sessantina di piedi dal padiglione di Nasuada, un contingente di lancieri in marcia attraverso l'accampamento bloccò loro la strada. Mentre aspettavano che passassero, Eragon fu scosso da un brivido e si soffiò sulle mani. «Magari avessimo il tempo di mangiare qualcosa.»
Più rapida che mai, Angela gli chiese: «È la magia, vero? Ti ha spossato.» Eragon annuì. Allora l'erborista infilò una mano in una delle sacche che teneva appese in vita e ne trasse una barretta marrone punteggiata di scintillanti semi di lino. «Tieni, ti calmerà la fame almeno fino all'ora di pranzo.»
«Che cos'è?»
«Mangiala, ti piacerà. Fidati» insisté, porgendogliela. Mentre Eragon le prendeva la barretta unta dalle dita, Angela gli afferrò il polso con l'altra mano e lo tenne fermo finché non ebbe ispezionato i calli spessi mezzo pollice che aveva sulle nocche. «Molto astuto da parte tua» commentò. «Sono disgustosi come le verruche dei rospi, ma che importa? Almeno la pelle resterà intatta. Grande idea. Davvero una grande, grande idea. Ti sei ispirato agli Ascûdgamln, i pugni d'acciaio dei nani?»
«Non ti sfugge niente, eh?»
«Se anche fosse, poco male. Mi occupo solo delle cose che esistono.» Eragon batté le palpebre, sconcertato come sempre dall'arguzia dell'erborista. Angela gli tastò un callo con un'unghia corta. «Me li farei crescere anch'io, solo che poi, lavorando a maglia o al telaio, mi si impiglierebbero nella lana.»
«Tu lavori a maglia?» le domandò, sorpreso che svolgesse un'attività tanto ordinaria.
«Ma certo! È un modo meraviglioso di rilassarsi. E se non lo facessi, dove troverei un maglione con ricamate sul petto le difese di Dvalar contro i conigli rabbiosi nell'antica lingua, o una retina per capelli tinta di giallo, verde e rosa acceso?»
«I conigli rabbiosi...»
Angela scosse la folta chioma riccia. «Rimarresti strabiliato nello scoprire quanti maghi sono morti per il morso di un coniglio rabbioso. Capita molto più spesso di quello che si crede.»
Eragon la fissò. Secondo te mi sta prendendo in giro? chiese a Saphira.
Se ci tieni tanto a saperlo, domandaglielo.
Si limiterebbe a rispondermi con un altro scioglilingua.
Passati i lancieri, i tre procedettero verso il padiglione rosso accompagnati da Solembum, che li aveva raggiunti di soppiatto. Facendosi strada tra i mucchi di sterco lasciati dai cavalli di re Orrin, Angela gli chiese: «Allora, dimmi: oltre al combattimento con i Ra'zac, non ti è successo niente di tremendamente interessante durante il viaggio? Lo sai che adoro sentir parlare di cose interessanti.»
Eragon sorrise, ripensando agli spiriti che avevano fatto visita a lui e ad Arya. Tuttavia non voleva discuterne, così rispose: «Visto che me lo chiedi, in effetti mi sono successe un sacco di cose interessanti. Per esempio, ho incontrato un eremita di nome Tenga che viveva tra le rovine di una torre elfica. Aveva la biblioteca più stupefacente che avessi mai visto. C'erano sette...»
Angela si bloccò così di colpo che Eragon fece altri tre passi avanti prima di accorgersene e tornare indietro. La strega sembrava stordita, come se l'avessero colpita sulla testa. Solembum avanzò verso di lei quatto quatto, le si strusciò contro le gambe e alzò il muso. Angela si inumidì le labbra, poi disse: «Sei...» Tossicchiò. «Sei sicuro che si chiamasse Tenga?»
«Lo conosci?»
Solembum soffiò e gli si rizzò il pelo sulla schiena. Eragon si scostò dal gatto mannaro, ansioso di mettersi al riparo dai suoi artigli.
«Se lo conosco?» Con una risata amara, Angela si portò le mani ai fianchi. «Se lo conosco? Altroché! Sono stata la sua apprendista per... per uno sventurato numero di anni.»
Eragon non si aspettava che la donna avrebbe mai rivelato qualcosa del suo passato. Desideroso di saperne di più, le chiese: «Quando l'hai conosciuto? E dove?»
«Molto tempo fa e molto lontano da qui. Tuttavia ci siamo separati in malo modo e non lo vedo da tantissimi anni.» Angela si accigliò. «Anzi, pensavo che fosse morto.»
Poi fu la volta di Saphira: Dato che sei stata la sua apprendista, sai a quale domanda sta cercando risposta?
«Non ne ho la minima idea. Tenga stava sempre cercando la risposta a qualche domanda. Quando la trovava, passava a un'altra, e così via, all'infinito. Dall'ultima volta che l'ho visto potrebbe aver trovato risposta a un centinaio di domande, ma anche essere ancora alle prese con lo stesso enigma di quando me ne sono andata.»
Ovvero?
«Se le fasi lunari influenzano il numero e la qualità di opali che si formano alle pendici dei Monti Beor, come credono i nani.»
«Ma come si fa a dimostrarlo?» obiettò Eragon.
Angela si strinse nelle spalle. «Se c'è una persona in grado di riuscirci, è Tenga. Sarà un po' pazzo, ma non si può negare che sia brillante.»
È uno che prende a calci i gatti, intervenne Solembum, come se quel commento riassumesse il carattere dell'eremita.
Poi Angela batté le mani e disse: «Basta! Mangia il tuo dolcetto, Eragon, e andiamo da Nasuada.»
RIMEDIARE A UN ERRORE
«Siete in ritardo» disse Nasuada a Eragon e Angela mentre prendevano posto sulle sedie disposte a semicerchio di fronte allo scranno dall'alto schienale. C'erano anche Elva e Greta, l'anziana domestica che nel Farthen Dûr aveva pregato Eragon di benedire la sua protetta. Come sempre, Saphira si era accucciata fuori e aveva infilato la testa in un'apertura su un lato per poter prendere parte alla riunione. Solembum era acciambellato accanto alla sua testa. A parte qualche scatto della coda, sembrava profondamente addormentato.
Eragon e Angela si scusarono, poi il Cavaliere ascoltò Nasuada spiegare a Elva il valore del suo dono per i Varden - Come se non lo sapesse, commentò Eragon rivolto a Saphira - e la supplicò di sciogliere Eragon dalla promessa di cancellare gli effetti della sua benedizione. Comprendeva quanto fosse difficile ciò che le stava chiedendo, ma era in gioco il destino dell'intero paese: sacrificare il proprio bene per aiutare a salvare Alagaësia dalle grinfie malefiche di Galbatorix non era un motivo più che valido? Fu un discorso magnifico: eloquente, appassionato e ricco di argomentazioni studiate per far presa sui più nobili sentimenti della bambina.
Elva, che si reggeva il piccolo mento aguzzo con i pugni, alzò la testa e rispose: «No.» Nel padiglione calò un silenzio carico d'angoscia. Fissando impassibile tutti i presenti, la bambina continuò: «Eragon, Angela, sapete entrambi cosa significa condividere i pensieri e le emozioni di chi sta per morire. Sapete quanto sia orribile e straziante: è come se una parte di me svanisse per sempre. E provo la stessa sensazione ogni volta che muore qualcuno. Voi non siete costretti a sopportare questa esperienza, a meno che non lo vogliate, mentre io... Io non ho altra scelta. Avverto ogni morte accanto a me. Perfino ora sento che la vita sta per abbandonare Sefton, uno dei tuoi spadaccini ferito sulle Pianure Ardenti, Nasuada, e so quali parole potrei dirgli per alleviare il suo terrore dell'oblio. La sua paura è così immensa, oh, che mi fa venire i brividi!» Con un grido incoerente, si portò le braccia davanti al viso come per schivare un colpo, poi disse: «Ah, è morto. Ma ce ne sono altri. C'è sempre qualcuno che muore. La fila dei morti non finisce mai.» La nota di amaro sarcasmo della sua voce, solo una parodia del tono che avrebbe dovuto tenere qualunque bambina di quell'età, si fece più marcata. «Lo capisci Nasuada, Lady Furianera, Colei che Diventerà la Regina del Mondo? Lo capisci? Io avverto tutto il dolore che c'è intorno a me, fisico o mentale che sia. Lo sento come se fossi io stessa a provarlo e la magia di Eragon mi obbliga ad alleviare il disagio di coloro che soffrono, noncurante di ciò che comporta per me. E se mi oppongo, come sto facendo ora, il mio corpo si ribella: lo stomaco brucia, mi scoppia la testa come se un nano mi stesse prendendo a martellate, fatico a muovermi e ancora di più a pensare. È questo che desideri per me, Nasuada?
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