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Senza pensare alla propria incolumità, Eragon riprese l'attacco contro la coscienza dello Spettro, con l'unico intento di trattenerlo per qualche altro istante.

Varaug si alzò su un ginocchio, poi, quando Eragon raddoppiò gli sforzi, vacillò.

«Ora!» urlò Eragon.

Arya fece un affondo, i neri capelli svolazzanti sulle spalle.

E colpì lo Spettro dritto al cuore.

Eragon trasalì e si districò dalla mente di Varaug proprio mentre lo Spettro indietreggiava, staccandosi dalla lama di Arya. Aprì la bocca ed emise un prolungato lamento, così acuto e stridente che i vetri della lanterna appesa al soffitto esplosero in una miriade di schegge. Barcollò verso Arya con le braccia tese, poi si fermò e la sua pelle cominciò a sbiadire fino a diventare trasparente, rivelando le decine di spiriti luccicanti intrappolati nella sua carne. Gli spiriti pulsarono e s'ingrossarono; la pelle di Varaug si lacerò lungo i rigonfiamenti dei muscoli. Con un'ultima esplosione di luce, gli spiriti lacerarono il corpo di Varaug e lasciarono la sala della torre attraversando i muri, come se la pietra fosse priva di consistenza.

Mentre le pulsazioni del suo cuore rallentavano, Eragon, sentendosi molto vecchio e molto stanco, raggiunse Arya, che era in piedi, aggrappata allo schienale di una poltrona, le spalle curve, una mano sulla gola. L'elfa tossì, sputando sangue. Dato che sembrava incapace di parlare, Eragon posò la propria mano su quella di lei e disse: «Waíse heill.» Gli cedettero le gambe quando perse energia per curarla, e dovette reggersi anche lui alla sedia. «Meglio?» le chiese, quando l'incantesimo si dissolse.

«Meglio» sussurrò Arya, e lo ringraziò con un fievole sorriso.

Indicò il punto dove prima si trovava Varaug. «Lo abbiamo ucciso... Lo abbiamo ucciso e siamo ancora vivi.» Sembrava sorpresa. «Pochi sono riusciti a uccidere uno Spettro senza morire.»

«Perché hanno combattuto da soli, non insieme, come noi.»

«Già, non come noi.»

«Tu mi hai aiutato nel Farthen Dûr, e io ti ho aiutato qui.»

«Sì.»

«Ora dovrò chiamare te Ammazzaspettri.»

«Lo siamo entrambi...»

Saphira li spaventò lanciando un lungo, acuto grido di dolore. Tra i gemiti, graffiò il pavimento con gli artigli, scheggiando la pietra. La sua coda si agitava da una parte all'altra, sfasciando i mobili e gli arcigni ritratti sulle pareti. Se ne sono andati! disse. Se ne sono andati! Se ne sono andati per sempre!

«Saphira, che cosa succede?» chiese Arya. Quando Saphira non rispose, ripeté la domanda a Eragon.

Vibrando di odio per le parole che era costretto a pronunciare, Eragon disse: «Oromis e Glaedr sono morti. Galbatorix li ha uccisi.»

Arya barcollò come se avesse ricevuto uno schiaffo. «Ah» disse. Strinse lo schienale della poltrona con tanta forza che le si sbiancarono le nocche. Le lacrime le riempirono gli occhi obliqui, poi si riversarono sugli zigomi alti e le inondarono il volto. «Eragon.» L'elfa allungò una mano e gli afferrò la spalla, e quasi per caso lui si ritrovò a stringerla fra le braccia. Sentì gli occhi invadersi di lacrime. Serrò la mascella nello sforzo di mantenere un contegno. Sapeva che se avesse cominciato a piangere non si sarebbe più fermato.

Lui e Arya rimasero abbracciati per un lungo momento, consolandosi a vicenda, poi Arya indietreggiò e chiese: «Com'è successo?»

«Oromis ha avuto uno dei suoi attacchi, e mentre era paralizzato, Galbatorix ha usato Murtagh per...» Eragon non riuscì a proseguire e scosse il capo. «Te lo racconterò quando saremo con Nasuada. Anche lei deve sapere, e non me la sento di descriverlo più di una volta.»

Arya annuì. «Allora andiamo.»

UNA NUOVA ALBA

Mentre Eragon e Arya scendevano dalla torre scortando Lady Lorana, incontrarono Blödhgarm e gli altri undici elfi che correvano su per le scale a quattro gradini alla volta. «Ammazzaspettri! Arya!» esclamò un'elfa dai lunghi capelli neri. «Siete feriti? Abbiamo sentito il lamento di Saphira e abbiamo pensato che uno di voi fosse morto.»

Eragon scoccò un'occhiata ad Arya. Il voto di segretezza che aveva fatto alla regina Islanzadi non gli consentiva di parlare di Oromis o Glaedr in presenza di estranei alla Du Weldenvarden - come Lady Lorana - senza il permesso della regina, di Arya, o di chiunque avesse potuto succedere a Islanzadi sul trono nodoso di Ellesméra.

Lei annuì e disse: «Vi libero dal vostro giuramento, Eragon, Saphira. Parlate di loro a chi volete.»

«No, non siamo feriti» rispose allora Eragon. «Ma Oromis e Glaedr sono morti, uccisi in battaglia nei cieli di Gil'ead.»

Gli elfi gridarono sconvolti, poi cominciarono a tempestare Eragon di domande. Arya alzò una mano e disse: «Ora basta. Non è questo il luogo né il momento adatto a soddisfare la vostra curiosità. Ci sono ancora soldati ovunque e non sappiamo chi ci ascolta. Serbate la tristezza nel vostro cuore finché non saremo salvi e al sicuro.» Fece una pausa e guardò Eragon, poi aggiunse: «Vi spiegherò le circostanze della loro morte non appena le avrò sapute io stessa.»

«Nen ono weohnata, Arya Dröttningu» mormorarono.

«Hai sentito quando ti ho chiamato?» chiese Eragon a Blödhgarm.

«Sì» rispose l'elfo dalla pelliccia blu. «Abbiamo fatto più in fretta che abbiamo potuto, ma c'erano molti soldati.»

Eragon portò la mano voltata al petto nel tradizionale gesto di rispetto degli elfi. «Ti chiedo scusa per averti lasciato indietro, Blödhgarm-elda. Il fervore della battaglia mi ha reso sciocco e troppo sicuro di me, e siamo quasi morti per colpa mia.»

«Non c'è bisogno di scusarti, Ammazzaspettri. Anche noi oggi abbiamo commesso un errore. Un errore che ti prometto non si ripeterà mai più. Da oggi combatteremo al fianco tuo e dei Varden senza riserve.»

Scesero insieme le scale fino al cortile. I Varden avevano ucciso o catturato gran parte dei soldati della fortezza, e i pochi uomini che ancora combattevano si arresero non appena videro che Lady Lorana era in mano ai Varden. Dato che le scale erano troppo strette, Saphira era scesa volando e li stava già aspettando.

Eragon attese con Saphira, Arya e Lady Lorana mentre uno dei Varden andava a chiamare Jörmundur. Il comandante fu stupito nel sentire il racconto di quanto era successo nella torre; poi prese in custodia Lady Lorana.

Le rivolse un inchino. «Mia signora, ti garantisco che sarai trattata con tutto il rispetto e la dignità che si competono al tuo rango. Anche se siamo tuoi nemici, restiamo pur sempre esseri civili.»

«Grazie» rispose lei. «Le tue parole mi confortano. Tuttavia la mia più grande preoccupazione adesso è la sicurezza dei miei sudditi. Se potessi, mi piacerebbe parlare con il vostro capo, Nasuada, in merito a quanto intende fare con loro.»

«Credo che anche lei desideri parlare con te.»

Prima di allontanarsi, Lady Lorana disse: «Ti sono veramente grata, bella elfa, e anche a te, Cavaliere dei Draghi, perché avete ucciso quel mostro prima che potesse portare morte e distruzione a Feinster. Il destino ci ha schierato in campi opposti, ma ciò non significa che io non possa ammirare il vostro coraggio e il vostro valore. Potremmo non incontrarci mai più, perciò addio a entrambi.»

Eragon s'inchinò e disse: «Addio, Lady Lorana.»

«Che le stelle ti proteggano» disse Arya.

Blödhgarm e gli elfi sotto il suo comando accompagnarono Eragon, Saphira e Arya a cercare Nasuada per tutta Feinster. La trovarono che si aggirava a cavallo per le grigie strade della città, valutando i danni.

Nasuada salutò Eragon e Saphira con evidente sollievo. «Sono felice che alla fine siate tornati. Negli ultimi giorni abbiamo avuto un disperato bisogno del vostro aiuto. Vedo che hai una nuova spada, Eragon, una spada da Cavaliere dei Draghi. Te l'hanno data gli elfi?»

«In un certo senso sì.» Eragon scrutò le varie persone che li circondavano e abbassò la voce. «Nasuada, dobbiamo parlare con te da sola. È importante.»

«Va bene.» Nasuada studiò gli edifici che costeggiavano la strada, poi indicò una casa che sembrava abbandonata. «Andiamo a parlare lì.»

Due dei Falchineri di Nasuada corsero avanti ed entrarono nella casa. Comparvero qualche minuto dopo e con un inchino dissero: «È vuota, Lady Nasuada.»

«Molto bene. Grazie.» Nasuada smontò di sella, porse le redini a uno degli uomini del suo seguito e marciò dritta nella casa. Eragon e Arya la seguirono.

I tre vagarono nella casa spoglia finché non trovarono una stanza, la cucina, con una finestra abbastanza grande perché Saphira ci infilasse la testa. Eragon aprì le imposte e Saphira posò il capo sul davanzale di legno. Il suo respiro riempì la cucina di odore di carne bruciata.

«Possiamo parlare senza timore» annunciò Arya, dopo aver evocato un incantesimo per impedire a chiunque di origliare.

Nasuada si massaggiò le braccia e rabbrividì. «Di che si tratta, Eragon?» chiese.

Eragon deglutì: avrebbe dato qualunque cosa pur di non dover raccontare i dettagli della sorte di Oromis e Glaedr. Poi disse: «Nasuada... io e Saphira non eravamo gli unici... C'erano un altro drago e un altro Cavaliere a combattere contro Galbatorix.»

«Lo sapevo» sospirò Nasuada, gli occhi scintillanti. «Era l'unica spiegazione possibile. Erano i vostri maestri a Ellesméra, vero?»

Sì, disse Saphira, ma ormai non sono più.

«Non sono più?»

Eragon strinse le labbra e scosse la testa, mentre le lacrime gli offuscavano la vista. «Sono morti questa mattina a Gil'ead. Galbatorix si è servito di Castigo e Murtagh per ucciderli; l'ho sentito parlare per bocca di Murtagh.»

Ogni traccia di eccitazione abbandonò il volto di Nasuada, sostituita da un'espressione spenta e rassegnata. Si lasciò cadere sulla sedia più vicina e fissò le ceneri nel caminetto freddo. La cucina era silenziosa. Alla fine si riscosse e disse: «Sei sicuro che siano morti?»

«Sì.»

Nasuada si asciugò gli occhi con l'orlo della manica. «Raccontami di loro, Eragon. Fallo, ti prego.»

E così, per la mezz'ora successiva, Eragon parlò di Oromis e Glaedr. Spiegò com'erano sopravvissuti alla Caduta dei Cavalieri e perché avevano scelto di restare nascosti da allora. Descrisse le menomazioni che affliggevano entrambi e si soffermò sul ritratto delle loro personalità, parlando anche di ciò che era stato per lui e per Saphira studiare sotto la loro guida. Il senso di perdita che provava si fece più profondo nel ricordare i lunghi giorni passati in compagnia di Oromis sulla rupe di Tel'naeír e le tante cose che l'elfo aveva fatto per lui e per Saphira. Quando arrivò al duello con Castigo e Murtagh a Gil'ead, Saphira alzò la testa dal davanzale e riprese a lamentarsi, un flebile, lungo gemito pieno di cordoglio.

Alla fine Nasuada sospirò e disse: «Vorrei aver conosciuto Oromis e Glaedr, ma ahimè, non era destino. C'è ancora una cosa che non capisco, Eragon. Hai detto che hai sentito Galbatorix parlare a loro. Come hai potuto?»

«Già, anch'io vorrei sapere come» disse Arya.

Eragon cercò qualcosa da bere, ma non c'era acqua né vino nella cucina. Tossì, poi si lanciò nel racconto del loro ultimo viaggio a Ellesméra. Saphira di tanto in tanto interveniva con un commento, ma preferì che fosse lui a raccontare la storia. A partire dalla verità sui suoi genitori, Eragon ripercorse in rapida successione gli eventi del loro soggiorno, dalla scoperta dell'acciaioluce sotto l'albero di Menoa a quando avevano forgiato Brisingr fino alla visita a Sloan. Infine raccontò a Nasuada e Arya del cuore dei cuori dei draghi.

«Be'...» disse Nasuada. Si alzò e prese a misurare la cucina a lenti passi. «Tu figlio di Brom, e Galbatorix che succhia come un parassita le anime dei draghi i cui corpi ormai non esistono più. È una cosa troppo grande perché io ne riesca a comprenderne la portata...» Si massaggiò di nuovo le braccia. «Almeno ora conosciamo la vera fonte del potere di Galbatorix.»

Arya era rimasta immobile, il fiato sospeso, sbalordita. «I draghi sono ancora vivi» mormorò. Giunse le mani come in preghiera e le tenne strette al petto. «Sono ancora vivi dopo tutti questi anni. Oh, se solo potessimo dirlo al resto della mia razza. Quanto sarebbero felici! E quanto sarebbe terribile la loro rabbia se sapessero della schiavitù degli Eldunarí! Correremmo a Urû'baen e non ci daremmo pace finché non avessimo liberato tutti i cuori dalle grinfie di Galbatorix, per quanti di noi dovessero morire nell'impresa.»

Ma non possiamo dirlo, le rammentò Saphira.

«No» disse Arya, e abbassò lo sguardo. «Non possiamo. Ma lo vorrei.»

Nasuada la guardò. «Ti prego, non offenderti, ma certo sarebbe stato meglio che tua madre, la regina Islanzadi, avesse ritenuto opportuno condividere queste informazioni con noi. Avremmo potuto servircene molto tempo fa.»

«Sono d'accordo» disse Arya, aggrottando la fronte. «Sulle Pianure Ardenti Murtagh vi ha sconfitti» e indicò Eragon e Saphira «perché non sapevate che Galbatorix gli aveva dato alcuni Eldunarí, e perciò non avete agito con la giusta cautela. Se non fosse stato per la coscienza di Murtagh, ora sareste entrambi schiavi di Galbatorix. Oromis e Glaedr, e anche mia madre, avevano le loro buone ragioni per tenere segreta l'esistenza degli Eldunarí, ma la loro reticenza ci è costata quasi la disfatta. Ne discuterò con mia madre la prossima volta che la incontrerò.»

Nasuada camminava fra il davanzale e il focolare. «Mi hai dato molte cose su cui riflettere, Eragon...» Tamburellò sul pavimento con la punta dello stivale. «Per la prima volta nella storia dei Varden conosciamo un modo per uccidere Galbatorix che potrebbe funzionare. Se riusciamo a separarlo da questi cuori dei cuori, perderà la fonte della sua forza, e allora tu e gli altri stregoni sarete in grado di batterlo.»

«Sì, ma come facciamo a separarlo dai suoi cuori?» chiese Eragon.

Nasuada si strinse nelle spalle. «Non lo so ancora, ma sono convinta che è possibile. D'ora in avanti lavorerete per trovare il modo. Tutto il resto non conta.»

Eragon sentì che Arya lo studiava con insolito interesse. Turbato, le rivolse uno sguardo interrogativo.

«Mi sono sempre domandata» disse Arya «perché l'uovo di Saphira era comparso davanti a te e non in qualche campo sperduto chissà dove. Sembrava una coincidenza troppo grande per essere soltanto un caso, ma non riuscivo a trovare una spiegazione plausibile. Ora invece capisco. Avrei dovuto immaginare che eri il figlio di Brom. Non lo conoscevo bene, ma lo conoscevo, e tu gli somigli molto.»

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