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«Ma allora perché lo hanno fatto?» chiese Eragon.
A volte è successo per caso. Quando sentiva che il corpo stava per abbandonarlo, un drago poteva farsi prendere dal terrore e cercare rifugio nel suo Eldunarí. Oppure, quando un drago aveva espulso il proprio cuore prima di morire, non poteva far altro che continuare a esistere. Ma nella maggior parte dei casi i draghi che scelsero di vivere nel loro Eldunarí erano quelli vecchi oltre misura, persino più vecchi di quanto siamo io e Oromis adesso, tanto vecchi che la carne aveva smesso di avere importanza per loro e si erano chiusi in se stessi nella speranza di trascorrere il resto dell'eternità a riflettere su problemi che i più giovani non potevano comprendere. Noi onoravamo e tenevamo in gran conto i cuori dei cuori di quei draghi per la loro enorme saggezza e intelligenza. Era comune per i draghi selvatici e i draghi dei Cavalieri, come anche per i Cavalieri stessi, chiedere loro consiglio su questioni importanti. Che Galbatorix li abbia resi schiavi è un atto crudele e malvagio oltre ogni immaginazione.
Ho una domanda io, adesso, disse Saphira; i suoi pensieri pulsavano forte nella mente di Eragon. Se uno della nostra razza si confina nel suo Eldunarí, deve continuare a esistere o è possibile che, non sopportando più quella condizione, si separi dal mondo per passare nelle tenebre?
«Non può farlo da solo» disse Oromis. «A meno che un'improvvisa ispirazione magica non gli permetta di infrangere l'Eldunarí dall'interno, e a quanto ne so è accaduto molto di rado. L'unica alternativa è che il drago convinca qualcun altro a rompere l'Eldunarí per lui. Questa mancanza di controllo è un altro dei motivi per cui i draghi esitavano a trasferirsi nel cuore dei cuori: per paura di restare intrappolati in una prigione da cui non c'è scampo.»
Eragon percepì il disgusto di Saphira all'idea di fare una fine simile. Lei non ne parlò, e invece chiese: Quanti Eldunarí ha in suo potere Galbatorix?
«Non conosciamo il numero esatto» disse Oromis «ma stimiamo che siano molte centinaia.»
Un brivido di eccitazione percorse il corpo scintillante di Saphira. Quindi dopotutto la nostra razza non sta per estinguersi?
Oromis esitò, e fu Glaedr a rispondere. Piccola mia, disse, ed Eragon trasalì nell'udire quell'epiteto, anche se la terra fosse coperta di Eldunarí, la nostra razza sarebbe comunque condannata. Un drago conservato nel suo Eldunarí è sempre un drago, ma non possiede gli stimoli della carne né gli organi con cui soddisfarli: non può riprodursi.
Eragon sentì pulsare la base del cranio e cominciò ad avvertire il peso dei quattro giorni di viaggio. La stanchezza gli rendeva difficile trattenere un pensiero per più di qualche istante; alla minima distrazione gli scivolavano via dalla mente.
La punta della coda di Saphira si contrasse. Non sono così ignorante da credere che gli Eldunarí possano generare prole. Però mi conforta sapere che non sono così sola come pensavo una volta. La nostra razza potrà essere destinata all'estinzione, ma almeno ci sono più di quattro draghi vivi al mondo, che siano ancora nella loro carne oppure no.
«È vero» disse Oromis, «ma sono prigionieri di Galbatorix come Murtagh e Castigo.»
Liberarli mi dà uno scopo per cui combattere, insieme al desiderio di recuperare l'ultimo uovo, disse Saphira.
«È una cosa per cui combatteremo entrambi» disse Eragon. «Siamo la loro unica speranza.» Si massaggiò la fronte con il pollice, poi disse: «C'è ancora qualcosa che non capisco.»
«Sì?» disse Oromis. «Che cosa ti cruccia?»
«Se Galbatorix attinge il proprio potere da quei cuori, come producono l'energia che lui sfrutta?» Eragon fece una pausa, cercando un modo migliore per porre la domanda. Indicò le rondini che volteggiavano nel cielo. «Ogni essere vivente mangia e beve per sostenersi, perfino le piante. Il cibo ci fornisce l'energia di cui il nostro corpo ha bisogno per funzionare, e fornisce anche l'energia che ci serve per operare la magia, sia che ci affidiamo alla nostra forza per evocare un incantesimo sia che ricorriamo alla forza di un altro. Ma come fanno gli Eldunarí? Non hanno ossa né muscoli né pelle, giusto? Non possono mangiare, vero? E allora come sopravvivono? Da dove proviene la loro energia?»
Oromis sorrise, i lunghi denti lucidi come porcellana smaltata. «Dalla magia.»
«Dalla magia?»
«Se si definisce la magia come la manipolazione dell'energia, cosa che è in effetti, allora sì, dalla magia. Da dove di preciso gli Eldunarí attingano questa energia è un mistero sia per noi che per i draghi; nessuno ne ha mai identificato la sorgente. Può darsi che assorbano la luce del sole come le piante o che prendano la forza vitale dalle creature vicine. Qualunque sia la risposta, è stato dimostrato che quando il corpo muore e il drago trasferisce la propria coscienza nel cuore dei cuori, porta con sé anche i residui di forza contenuti nel corpo prima che smettesse di funzionare. In seguito, la riserva di energia aumenta in maniera costante per un periodo compreso fra i cinque e i sette anni, finché non raggiunge la pienezza del suo potere, che è immenso. La quantità complessiva di energia che un Eldunarí può contenere dipende dalle dimensioni del cuore: più vecchio è il drago, più grande sarà il suo Eldunarí, più energia potrà assorbire prima di saturarsi.»
Ripensando a quando lui e Saphira avevano combattuto contro Murtagh e Castigo, Eragon disse: «Galbatorix deve aver dato a Murtagh diversi Eldunarí. Solo così si spiega l'incredibile aumento della sua forza.»
Oromis annuì. «Siete fortunati che Galbatorix non gli abbia prestato più cuori, altrimenti Murtagh avrebbe avuto gioco facile a sopraffare voi, Arya, e tutti gli altri stregoni dei Varden.»
Eragon si ricordò di come entrambe le volte in cui lui e Saphira si erano scontrati con Murtagh e Castigo aveva avuto l'impressione che la mente di Murtagh contenesse molti esseri. Condivise il ricordo con Saphira e disse: Devo aver percepito gli Eldunarí... Chissà dove li teneva Murtagh. Castigo non trasportava bisacce, e non ho visto nessuno strano rigonfiamento sotto i vestiti di Murtagh.
Non lo so, disse Saphira. Non credi che Murtagh si riferisse agli Eldunarí quando ha detto che invece di strapparti il cuore sarebbe stato meglio strappargli i suoi cuori? Cuori, non cuore.
Hai ragione! Forse stava tentando di avvertirmi. Eragon trasse un profondo respiro e stirandosi sciolse il nodo che gli serrava le scapole, poi si appoggiò allo schienale. «A parte gli Eldunarí di Saphira e di Glaedr, ce ne sono altri che Galbatorix non ha catturato?»
Oromis fece una smorfia e una ragnatela di piccole rughe gli si formò intorno agli angoli della bocca. «Nessuno, che io sappia. Dopo la caduta dei Cavalieri, Brom andò in cerca di eventuali Eldunarí sfuggiti a Galbatorix, ma senza esito. E in tutti gli anni che ho passato a perlustrare Alagaësia con la mente non ho mai colto un pensiero o un sussurro provenire da un Eldunarí. Quando Galbatorix e Morzan sferrarono il primo attacco contro di noi, gli Eldunarí erano stati tutti catalogati e nessuno di loro scomparve senza spiegazione. È inconcepibile che ci sia una grossa scorta di Eldunarí ad attenderci da qualche parte.»
Sebbene Eragon non si fosse aspettato una risposta diversa, rimase ugualmente deluso. «Un'ultima domanda; mi risulta che quando un Cavaliere o un drago morivano, il compagno superstite in genere si lasciava morire o si suicidava subito dopo. E che quelli che non lo facevano comunque impazzivano dal dolore. Dico bene?»
Sì, disse Glaedr.
«Ma che cosa succedeva invece se il drago rigettava il cuore dei cuori prima di morire?» Eragon sentì il terreno tremare attraverso le suole degli stivali mentre il drago dorato cambiava posizione.
Glaedr rispose: Se un drago sperimentava la morte del corpo, ma il suo cavaliere era ancora vivo, insieme diventavano noti come Indlvarn. La transizione non era molto piacevole per il drago, ma molti Cavalieri e draghi riuscirono ad adattarsi al cambiamento e continuarono a servire l'ordine con successo. Se però era il Cavaliere a morire, allora spesso il drago distruggeva il proprio Eldunarí o, se il suo corpo era già morto, faceva in modo che fosse un altro a infrangerlo, così si uccideva e seguiva il proprio Cavaliere nel vuoto. Ma non tutti. Alcuni draghi furono in grado di superare la perdita, così come alcuni Cavalieri, fra cui Brom, e continuarono a servire il nostro ordine per molti anni, sia attraverso la carne che attraverso il loro cuore dei cuori.
Ci avete dato molto su cui meditare, Glaedr, Oromis-elda, disse Saphira. Eragon annuì ma rimase in silenzio, troppo preso a riflettere su quanto era stato detto.
LE MANI DI UN GUERRIERO
Eragon addentò una dolce fragola matura, lo sguardo perso nelle imperscrutabili profondità del cielo. Quando ebbe finito di mangiarla, appoggiò il picciolo sul vassoio davanti a sé e lo spinse al centro con la punta dell'indice, poi fece per parlare.
Ma Oromis lo precedette e disse: «E adesso, Eragon?»
«Adesso?»
«Abbiamo parlato a lungo degli argomenti che più ti premevano. E adesso cosa volete fare tu e Saphira? Non potete trattenervi a lungo a Ellesméra, perciò mi chiedo che cos'altro sperate di ottenere con la vostra visita. O pensate di ripartire già domattina?»
«Avevamo sperato» disse Eragon «di poter continuare il nostro addestramento, ma questo ovviamente non è possibile perché non abbiamo tempo. Però c'è qualcos'altro che vorrei fare.»
«E sarebbe?»
«Maestro, non ti ho raccontato tutto quello che mi è successo quando ero a Teirm con Brom.» Così Eragon raccontò al vecchio elfo di come la curiosità lo aveva portato nella bottega di Angela, di come lei gli aveva letto il futuro e del consiglio che alla fine gli aveva dato Solembum.
Oromis si picchiettò le labbra con un dito, meditabondo. «Nel corso dell'ultimo anno ho sentito nominare questa indovina con crescente frequenza, sia da parte tua che dai rapporti sui Varden di Arya. Questa Angela sembra bravissima a comparire dove e quando stanno per verificarsi eventi importanti.»
Già, bravissima, confermò Saphira.
Oromis continuò. «Il suo comportamento mi ricorda molto quello di una maga umana che una volta visitò i palazzi di Ellesméra, anche se non si faceva chiamare Angela. È per caso una donna minuta, con una gran massa di riccioli scuri, occhi vivaci e un'intelligenza tanto acuta quanto bizzarra?»
«L'hai descritta alla perfezione» disse Eragon. «È la stessa persona?»
Oromis fece un piccolo movimento con la mano sinistra. «Se è lei, si tratta di una persona straordinaria... Quanto alle sue profezie, non starei a pensarci troppo. Che si avverino o no, e senza saperne di più, nessuno di noi può influenzarne l'esito.
«Ma quello che ha detto il gatto mannaro è degno di maggior considerazione. Purtroppo non so spiegare nessuna delle sue affermazioni. Non ho mai sentito parlare di un luogo chiamato la Volta delle Anime e, anche se la rocca di Kuthian mi suona familiare, non riesco a ricordare dove ho sentito o visto quel nome. Cercherò nelle mie pergamene, ma l'istinto mi dice che non lo troverò nelle scritture elfiche.»
«E che mi dici dell'arma sotto l'albero di Menoa?»
«Non so niente nemmeno di quella, Eragon. E io conosco ogni storia di questa foresta. In tutta la Du Weldenvarden ci sono forse soltanto due elfi la cui conoscenza della foresta supera la mia. M'informerò, ma sospetto che sarà un tentativo inutile.» Quando Eragon espresse la sua delusione, Oromis disse: «Mi pare di capire che tu abbia bisogno di un giusto rimpiazzo per Zar'roc, e in questo posso aiutarti. Oltre alla mia, Naegling, noi elfi abbiamo conservato altre due spade dei Cavalieri dei Draghi: Arvindr e Tàmerlein. Arvindr è custodita nella città di Nädindel, che tu non hai il tempo di visitare. Ma Tàmerlein si trova qui a Ellesméra. È un tesoro del Casato di Valtharos, e anche se il signore del palazzo, Lord Fiolr, non se ne separerebbe mai volentieri, credo che te la darebbe se gliela chiedessi con rispetto. Vi organizzerò un incontro per domattina.»
«E se la spada non dovesse andar bene?» chiese Eragon.
«Speriamo che non accada. Manderò anche un messaggio a Rhunön la metalliera, avvertendola che potresti passare da lei domani sul tardi.»
«Ma Rhunön ha giurato che non avrebbe più forgiato spade.»
Oromis sospirò. «Già, ma il suo parere sarà lo stesso importante. Se c'è qualcuno che può consigliarti l'arma giusta, è lei. E se dovesse piacerti Tàmerlein, sono sicuro che Rhunön vorrebbe darle comunque un'occhiata prima che te la porti via. Sono passati più di cento anni da quando Tàmerlein è stata usata per l'ultima volta in battaglia, e potrebbe aver bisogno di qualche piccola calibratura.»
«Non potrebbe essere un altro elfo a forgiarmi una lama?»
«No» disse Oromis. «Non se si tratta di eguagliare l'eccellenza di Zar'roc o di qualsiasi altra spada rubata che Galbatorix abbia scelto d'impugnare. Rhunön è uno dei membri più anziani della nostra razza, ed è stata lei a forgiare tutte le spade del nostro ordine.»
«È vecchia quanto i Cavalieri?» esclamò Eragon, stupefatto.
«Anche di più.»
Eragon tacque un momento. «Che cosa dobbiamo fare fino a domani, maestro?»
Oromis guardò Eragon e Saphira, poi disse: «Andate a visitare l'albero di Menoa. So che non sarete in pace finché non lo avrete fatto. Vedete se riuscite a trovare l'arma di cui ha parlato il gatto mannaro. Quando avrete soddisfatto la vostra curiosità, ritiratevi nella casa sull'albero che i servitori di Islanzadi tengono sempre pronta per voi. Domani faremo quel che possiamo.»
«Maestro, abbiamo così poco tempo...»
«Siete fin troppo stanchi per altre sollecitazioni quest'oggi. Fidati, Eragon, è meglio che ti riposi. Penso che le ore che ti separano da domani ti aiuteranno ad accettare le cose di cui abbiamo parlato. Anche secondo i parametri di re, regine e draghi, questa nostra conversazione non è stata una chiacchierata leggera.»
Malgrado le rassicurazioni di Oromis, Eragon si sentiva a disagio all'idea di trascorrere il resto del giorno senza far niente. Era così agitato che avrebbe voluto continuare a lavorare, anche se sapeva di dover recuperare le forze.
Si agitò sulla sedia, e quel movimento tradì la sua indecisione; Oromis sorrise e disse: «Se ti aiuta a calmarti, Eragon, ti prometto una cosa. Prima che tu e Saphira torniate dai Varden, potrai scegliere un tipo di magia, e nel breve tempo che ci resta t'insegnerò tutto quello che posso in merito.»
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