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Poi Nasuada chiese: «Che cosa speri di ottenere da quella visita?»
«Non lo so!» borbottò Eragon. Colpì il pomolo del falcione con un pugno. «Ed è proprio questo il nocciolo del problema: ignoriamo troppe cose. Forse non otterremo niente, ma potremmo anche scoprire qualcosa che ci aiuti a sbaragliare Murtagh e Galbatorix una volta per tutte. Non pensare che ieri abbiamo vinto, Nasuada. Niente affatto! E temo che quando ci ritroveremo di fronte a Castigo e a Murtagh, lui sarà perfino più forte, e visto che le capacità di Galbatorix sono di gran lunga superiori a quelle di Murtagh, nonostante la gran quantità di potere che ha già riversato su mio fratello, mi si raggelano le ossa. L'elfo che fu mio maestro...» Eragon esitò, valutando se era saggio rivelare ciò che stava per dire, poi procedette deciso: «L'elfo che fu mio maestro, dicevo, sosteneva di sapere perché Galbatorix diventa più forte di anno in anno, ma allora si rifiutò di rivelarmi altro perché eravamo solo all'inizio del mio addestramento. Ora, dopo gli scontri con Murtagh e Castigo, credo che sarà disposto a condividere con me le informazioni che possiede. E ci sono interi rami della magia che dobbiamo ancora esplorare, e ciascuno di essi potrebbe fornirci i mezzi per sconfiggere Galbatorix. Se vogliamo affrontare questo viaggio, allora non restiamo qui in ozio; corriamo dei rischi per migliorare la nostra posizione e vincere questa partita dall'esito incerto.»
Nasuada rimase seduta immobile per più di un minuto. «Non posso prendere questa decisione prima che i nani abbiano incoronato il nuovo sovrano. Se andrai nella Du Weldenvarden o meno dipenderà dai movimenti dell'Impero e da ciò che le nostre spie riporteranno sulle attività di Murtagh e Castigo.»
Nelle due ore seguenti Nasuada istruì Eragon sui tredici clan dei nani. Gli impartì una lezione sulla storia e sulla politica del loro popolo, sui prodotti di punta che commerciavano, sui nomi, le famiglie e le diverse personalità dei capiclan, sull'elenco dei tunnel più importanti scavati e controllati da ciascun clan e su quello che, secondo lei, era il modo migliore di convincerli a eleggere un re o una regina solidali alla causa dei Varden.
«L'ideale sarebbe che salisse al trono Orik» disse. «Re Rothgar era tenuto in grande considerazione dalla maggior parte dei sudditi e il Dûrgrimst Ingeitum rimane uno dei clan più ricchi e influenti, il che va a suo vantaggio. Lui è devoto alla nostra causa. Ha prestato servizio tra i Varden, possiamo entrambi contare su di lui come amico, e poi è tuo fratello adottivo. Credo abbia le qualità per diventare un re eccellente.» Un'espressione divertita le illuminò il viso. «Be', c'è un piccolo problema. Secondo i criteri dei nani, è troppo giovane, e il fatto che si sia schierato in nostro favore potrebbe rivelarsi una barriera insormontabile per gli altri capiclan. Un altro ostacolo è che, dopo più di duecento anni di governo dell'Ingeitum, gli altri grandi clan, il Dûrgrimst Feldûnost e il Dûrgrimst Knurlcarathn tanto per citarne un paio, sono ansiosi di veder passare la corona a qualcun altro. Sostieni Orik con ogni mezzo possibile se ciò può aiutare a ottenere il trono, ma se diventasse evidente che il suo tentativo è destinato a fallire e il tuo supporto potrebbe garantire il successo a un altro capoclan che appoggia i Varden, allora schierati dalla parte di quest'ultimo, anche se così facendo offenderai Orik. Non puoi lasciare che l'amicizia interferisca con la politica, non adesso.»
Quando Nasuada ebbe finito la sua lezione, lei, Eragon e Saphira escogitarono un modo perché lui potesse sgattaiolare fuori dall'accampamento senza essere visto. Dopo aver definito i dettagli del piano, Eragon e la dragonessa tornarono alla tenda e informarono Blödhgarm della decisione presa.
Con sua grande sorpresa, l'elfo con la pelliccia non ebbe nulla da obiettare. Incuriosito, Eragon gli chiese: «Dunque approvi?»
«Non spetta a me dirlo» rispose, la voce ridotta a un sommesso ronzio. «Ma poiché non mi pare che gli stratagemmi di Nasuada ti mettano in una condizione di irragionevole pericolo, e anzi, potresti avere l'opportunità di continuare il tuo addestramento a Ellesméra, né io né i miei fratelli ci opporremo.» Inclinò la testa. «E adesso, Bjartskular e Argetlam, se volete scusarmi...» L'elfo aggirò Saphira e uscì dalla tenda; quando scostò il telo posto all'ingresso, un luminoso raggio di luce trafisse l'interno buio.
Per una manciata di minuti, Eragon e Saphira rimasero seduti in silenzio, poi lui le posò una mano sopra la testa. Puoi dire quello che vuoi, ma sentirò la tua mancanza.
Anch'io, piccolo.
Sta' attenta. Se ti dovesse capitare qualcosa, io...
Sta' attento anche tu.
Eragon sospirò. Siamo stati insieme solo pochi giorni e ci dobbiamo già separare. Fatico a perdonare Nasuada per questo.
Non biasimarla: non poteva fare altrimenti.
Lo so, ma mi resta comunque l'amaro in bocca.
Corri veloce, allora, così che ti possa raggiungere presto nel Farthen Dûr.
Se almeno potessi toccare la tua mente, non sarebbe un problema stare così lontano da te. La cosa peggiore è proprio questa orribile sensazione di vuoto. Non possiamo nemmeno parlarci attraverso lo specchio nel padiglione di Nasuada, altrimenti la gente si chiederebbe perché continui ad andare da lei senza di me.
Saphira batté le palpebre e fece dardeggiare la lingua, ed Eragon avvertì uno strano mutamento nelle sue emozioni.
Che c'è? le chiese.
Io... La dragonessa batté di nuovo le palpebre. Hai ragione. Magari potessimo restare in contatto mentale anche quando saremo lontani. Saremmo meno in ansia e potremmo confondere l'Impero con più facilità. Quando Eragon le si sedette accanto e le grattò le piccole squame dietro l'angolo della mascella, la dragonessa emise un sommesso borbottio di soddisfazione.
LABILI TRACCE
Con una serie di balzi vertiginosi, Saphira attraversò l'accampamento e accompagnò Eragon alla tenda di Roran e Katrina. La ragazza era fuori a lavare una sottoveste in un secchio d'acqua insaponata e strofinava la stoffa bianca su un'asse di legno. Quando la dragonessa atterrò, sollevando un nugolo di polvere, Katrina si portò una mano agli occhi per proteggerli.
Anche Roran uscì, allacciandosi la cintura. Tossì e strizzò gli occhi a sua volta. «Che cosa ti porta qui?» chiese al cugino appena smontato da Saphira.
In tutta fretta, Eragon gli spiegò dell'imminente partenza e fece loro capire quanto era importante che mantenessero il segreto con gli altri abitanti del villaggio. «Non importa se si offenderanno perché mi rifiuto di vederli: non potete rivelare loro la mia assenza, nemmeno a Horst o a Elain. Piuttosto che pronunciare una sola parola sul piano di Nasuada, preferisco che pensino che sono diventato uno zoticone ingrato. Ve lo chiedo per il bene di coloro che si sono schierati contro l'Impero. Lo farete?»
«Non ti tradiremo mai, Eragon» rispose Katrina. «Non dubitarne.» Poi Roran lo informò che anche lui stava per partire.
«Dove vai?» esclamò Eragon.
«La nuova destinazione mi è stata assegnata pochi minuti fa. Andiamo
da qualche parte su a nord, oltre le linee nemiche, a saccheggiare i convogli dell'Impero che trasportano i rifornimenti.»
Eragon osservò prima Roran, serio e determinato, già in tensione al pensiero della battaglia; poi Katrina, che cercava di nascondere la preoccupazione; infine Saphira, dalle cui narici, mentre respirava, uscivano piccole lingue di fuoco tremolanti. «E così ci separeremo tutti.» Ciò che evitò di dire, benché l'idea aleggiasse su di loro come un sudario, era che forse non si sarebbero mai più rivisti in questa vita.
Roran lo afferrò per l'avambraccio, tirandolo verso di sé, e lo strinse per un istante. Poi si allontanò e lo fissò dritto negli occhi. «Guardati le spalle, fratello. Galbatorix non è il solo a cui piacerebbe infilarti un coltello nelle costole non appena ti volti.»
«Sì, e tu fai come me. E se ti ritrovi faccia a faccia con uno stregone, corri dalla parte opposta. Gli incantesimi di difesa che ho evocato per te non dureranno in eterno.»
Katrina lo abbracciò e gli sussurrò: «Non stare via troppo a lungo.» «No.»
Poi i due sposi andarono da Saphira e posarono entrambi la fronte sul
suo lungo muso ossuto. Il petto della dragonessa vibrava mentre emetteva una nota bassa di gola. Roran, gli disse, ricordati di non commettere l'errore di risparmiare i tuoi nemici. E tu, Katrina, non rimuginare troppo su ciò che non puoi cambiare. Non farà che aumentare la tensione. Con un fruscio di pelle e squame, Saphira dispiegò le ali e avvolse i tre in un caldo abbraccio, separandoli dal resto del mondo.
Quando le riaprì, Roran e Katrina si fecero da parte ed Eragon si arrampicò in sella. Poi salutò i cugini con un groppo in gola e continuò ad agitare la mano anche dopo aver preso il volo. Batté le palpebre per schiarirsi la vista, si appoggiò alla punta cervicale davanti a sé e guardò il cielo di traverso.
Andiamo alle cucine? chiese Saphira.
Sì.
Saphira salì di qualche centinaio di piedi prima di puntare verso il quadrante sud-ovest dell'accampamento, dove da file di forni e immensi focolari si levavano colonne di fumo. Mentre la dragonessa fluttuava verso uno spiazzo tra due tende aperte, ognuna lunga cinquanta piedi, li investì una lieve corrente d'aria. La colazione era già terminata, e quando Saphira atterrò con un fragoroso tonfo, il luogo era deserto.
Eragon corse ai focolari dietro i tavoli di legno, seguito a ruota dalla dragonessa. Le centinaia di uomini indaffarati, che badavano al fuoco, macellavano la carne, rompevano le uova, impastavano il pane, rimestavano paioli di ferro colmi di liquidi misteriosi, strofinavano enormi pile di pentole e padelle sporche o erano impegnati nell'infinita fatica di cucinare per i Varden non li degnarono della minima attenzione. Che cos'erano mai un drago e il suo Cavaliere al confronto delle impietose necessità della vorace creatura dalle mille bocche la cui fame si affannavano a saziare?
Un uomo corpulento con il pizzetto brizzolato, abbastanza basso da poter essere scambiato per un nano, trotterellò verso Eragon e Saphira e fece loro un veloce inchino. «Sono Quoth Merrinsson. Come posso aiutarvi? Se vuoi, Ammazzaspettri, abbiamo del pane appena sfornato.» Gli indicò una doppia fila di pagnotte che riposavano su un vassoio su un tavolo vicino.
«Se puoi darmela, mezza pagnotta la accetto volentieri» rispose Eragon. «Tuttavia non è per placare la mia fame che sono qui. Saphira vorrebbe qualcosa da mangiare, ma non abbiamo tempo di andare a caccia.»
Quoth guardò sopra la spalla di Eragon e vide l'imponente mole della dragonessa. «Di solito quanto mangia la...? Ah, scusate: di solito quanto mangi, Saphira? Posso darti subito sei porzioni di carne arrosto, e altre sei tra cinque minuti. È abbastanza, o...?» Deglutì, facendo sobbalzare il pomo d'Adamo.
Saphira emise un dolce gorgoglio e Quoth, strillando, fece un balzo indietro. «Se è possibile, preferirebbe un animale vivo» gli spiegò Eragon.
Con voce stridula, Quoth rispose: «Se è possibile? Oh, ma certo, quello che volete.» Annuì, strizzando il grembiule tra le mani sporche di grasso. «Tutto è possibile, Ammazzaspettri, Saphira. Non per questo mancherà il cibo sulla tavola di re Orrin oggi pomeriggio, no, no.»
E un barile di idromele, disse la dragonessa a Eragon.
Mentre lui ripeteva la richiesta a Quoth, attorno alle iridi dell'uomo comparvero dei cerchi bianchi. «Te-temo che i nani abbiano comprato quasi tutte le no-nostre scorte di i-idromele. Ne sono rimasti so-solo pochi barili, e sono riservati al re...» Quando una fiamma lunga quattro piedi uscì dalle narici di Saphira e bruciò l'erba davanti alla dragonessa, il povero Quoth sussultò. Dagli steli anneriti si levarono intricate volute di fumo. «Ve ne fa-faccio portare uno su-subito. Se vo-volete seguirmi, vi accompagno dove c'è il be-bestiame, così potrete sce-scegliere il capo migliore.»
Aggirando il fuoco, i tavoli e i gruppi di uomini indaffarati, il cuoco li condusse a una serie di grandi recinti di legno che racchiudevano maiali, bovini, oche, capre, pecore, conigli e un gran numero di cervi selvatici che i cacciatori dei Varden avevano catturato durante le loro incursioni nelle foreste che circondavano l'accampamento. Vicino ai recinti c'erano stie piene di polli, anatre, colombi, quaglie, pernici e altri pennuti. Tutto quello starnazzare, cinguettare, tubare e gracchiare creava una cacofonia così stridente che Eragon digrignò i denti, infastidito. Per evitare di essere sopraffatto dai pensieri e dai sentimenti di tutte quelle creature, fece in modo di chiudere la mente a chiunque, tranne che a Saphira.
I tre si fermarono a un centinaio di piedi dai recinti, per evitare che la presenza della dragonessa scatenasse il panico tra le bestie imprigionate. «C'è qualcosa di tuo gradimento?» le chiese Quoth, guardandola e strofinandosi le mani con nervosa destrezza.
Mentre passava in rassegna i recinti, Saphira inspirò e disse a Eragon: Poveretti... sai, non è che abbia poi tanta fame. Sono andata a caccia solo l'altroieri e non ho ancora finito di digerire gli ossi del cervo che ho mangiato.
Stai ancora crescendo, e in fretta anche. Devi nutrirti, ti farà bene.
No, se poi mi rimane tutto sullo stomaco.
Scegli qualcosa di piccolo, allora. Un maiale, magari.
Non sarebbe di alcun aiuto per te. No... Prenderò quella.
Gli trasmise mentalmente l'immagine di una mucca di media grandezza con il fianco sinistro chiazzato di bianco.
Dopo che Eragon gli ebbe indicato l'animale, Quoth richiamò a gran voce una fila di uomini che stavano oziando accanto ai recinti. Due di loro allontanarono la mucca dal resto della mandria, le fecero passare una corda attorno alla testa e la trascinarono riluttante verso la dragonessa. A trenta piedi di distanza, la mucca puntò le zampe e si accucciò terrorizzata, poi cercò di liberarsi e fuggire. Prima che ci riuscisse, Saphira coprì la distanza che le separava a balzi. Vedendola correre verso di loro con le fauci spalancate, i due uomini si gettarono a terra.
Mentre la mucca si voltava per fuggire, la dragonessa la colpì sul fianco, abbattendola, poi la bloccò con le zampe divaricate. La mucca emise un solo muggito di terrore prima che le fauci della dragonessa le si chiudessero sul collo. Scuotendo violentemente la testa, le spezzò la spina dorsale. Poi si fermò, si chinò sulla vittima e guardò Eragon, in attesa.
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