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«Chi sono?» chiese Eragon.

«Bah!» esclamò Orik e sputò per terra. «Sono Vargrimstn, guerrieri caduti in disgrazia per gravi demeriti, ormai esclusi da ogni clan. Solo una persona coinvolta direttamente in qualche atto criminale, interessata a mantenerlo segreto, può accettare di confondersi con certa feccia. Questi tre hanno preso ordini dal Grimstborith Vermûnd dell'Az Sweldn rak Anhûin.»

«Non ci sono dubbi?»

Orik scosse la testa. «No. Sono stati gli Az Sweldn rak Anhûin che hanno cercato di ucciderti, Eragon. Probabilmente non sapremo mai se sono implicati altri clan, ma se riveliamo questo tradimento, chiunque sia coinvolto nel complotto sarà costretto a disconoscere gli ex alleati, a rinunciare, o quanto meno a posticipare altri attacchi contro l'Ingeitum e, se amministriamo la cosa nel modo migliore, a dare a me il suo voto.»

Nella mente di Eragon balenò l'immagine della lama multicolore che spuntava dal collo di Kvîstor e dell'espressione di dolore del nano che cadeva a terra morente. «Come puniremo gli Az Sweldn rak Anhûin per questo crimine? Uccideremo Vermûnd?»

«Ah, lascia fare a me» rispose Orik, e si picchiettò il naso. «Ho un piano. Ma dobbiamo procedere con cautela, perché è una situazione molto delicata. Erano anni che non assistevamo a un tradimento di tale portata. Dato che non sei cresciuto tra i nani, non puoi capire quanto ci disgusta che uno di noi abbia attaccato un ospite. E che tu sia l'unico Cavaliere rimasto in grado di ostacolare Galbatorix non fa che peggiorare la gravità dell'affronto. Forse sarebbe necessario spargere altro sangue, ma al momento ciò porterebbe solo a una seconda guerra tra clan.»

«Però potrebbe essere l'unico modo per affrontare gli Az Sweldn rak Anhûin» gli fece notare Eragon.

«Non credo, ma se mi sbaglio e la guerra sarà inevitabile, dobbiamo assicurarci che siano da soli a combatterla, che perdano tutti gli alleati. Non sarebbe poi tanto male, no? Insieme, noi e gli altri clan potremmo schiacciarli nel giro di una settimana. Tuttavia combattere una guerra divisi in due o tre fazioni porterebbe il nostro paese alla rovina. Prima di sguainare le spade, dunque, è di cruciale importanza convincere gli altri clan di ciò che hanno fatto gli Az Sweldn rak Anhûin. Permetterai ai maghi degli altri clan di esaminare i tuoi ricordi dell'attacco, in modo da verificare che tutto sia andato come diciamo noi e che non sia stata una farsa inscenata a nostro vantaggio?»

Eragon esitò, riluttante all'idea di aprire la propria mente a sconosciuti, poi indicò con un cenno del capo i tre nani ammassati uno sopra l'altro. «E quelli? Non bastano i loro ricordi a convincere gli altri clan della colpevolezza degli Az Sweldn rak Anhûin?»

Orik fece una smorfia. «In teoria sì, ma per esserne del tutto sicuri i capiclan insisteranno per confrontare i loro ricordi con i tuoi, e se ti rifiuti l'Az Sweldn rak Anhûin sosterrà che stiamo nascondendo qualcosa e che le nostre accuse non sono altro che falsità e calunnie.»

«Benissimo» rispose Eragon. «Se devo, lo farò. Ma se qualche mago si insinua dove non dovrebbe, fosse anche per sbaglio, non avrò altra scelta se non estirpare dalle loro menti ciò che hanno visto. Non posso permettere che certe cose diventino di dominio pubblico.»

Orik annuì e disse: «Sì, mi viene in mente almeno un'informazione che ci danneggerebbe se fosse diffusa ai quattro venti, eh? Sono sicuro che i capiclan accetteranno le tue condizioni, perché tutti abbiamo segreti che non vogliamo vengano sbandierati, e sono altrettanto sicuro che ordineranno ai loro maghi di procedere noncuranti del pericolo. Questo attacco può scatenare un tale disordine nel nostro popolo che i grimstborithn si sentiranno costretti a stabilire la verità sull'accaduto, anche se così facendo rischiano di perdere i loro più rinomati stregoni.»

Ergendosi in tutta la sua pur minima altezza, Orik ordinò che i prigionieri fossero allontanati dall'ingresso e congedò tutti i suoi vassalli, tranne Eragon e un contingente di ventisei guerrieri tra i più abili. Poi con un gesto aggraziato afferrò Eragon per il gomito sinistro e lo condusse verso le stanze più interne. «Stanotte devi restare qui con me, dove l'Az Sweldn rak Anhûin non oserà colpire.»

«Se hai intenzione di dormire, ti metto in guardia subito: io proprio non ci riuscirò, non stanotte. Mi ribolle ancora il sangue dopo il tumulto del combattimento, e la mia testa è altrettanto inquieta.»

«Fa' come vuoi; tanto non mi disturberai, perché mi calerò sugli occhi uno spesso berretto di lana. Tuttavia dovresti provare a cercare di calmarti, magari sfruttando qualcuna delle tecniche che ti hanno insegnato gli elfi, e di recuperare il più possibile le forze. È quasi giorno e tra poche ore i clan si riuniranno di nuovo. Dobbiamo essere freschi per affrontare ciò che ci aspetta. Quello che faremo e diremo determinerà il destino del mio popolo, del mio paese e del resto di Alagaësia... Ah, via quella faccia triste! Pensa a questo, piuttosto: che abbiamo successo o no, e naturalmente spero nella prima ipotesi, i nostri nomi saranno ricordati fino alla notte dei tempi per come ci comporteremo domani. Questo almeno ti riempirà la pancia d'orgoglio! Gli dei sono volubili e l'unica immortalità su cui possiamo contare è quella che ci conquistiamo grazie alle nostre gesta. Che sia per fama o per infamia, è comunque meglio che essere dimenticati una volta abbandonato questo mondo.»

Più tardi, quella notte, nelle ore morte prima dell'alba, avvolto nell'abbraccio del divano imbottito su cui si era lasciato cadere, Eragon lasciò vagare i pensieri e l'impalcatura razionale della sua coscienza si dissolse nella disordinata fantasia dei sogni a occhi aperti. Mentre guardava il mosaico di pietre colorate sulla parete davanti a lui, ebbe l'impressione che vi scorressero, come su un velo luccicante, le scene della sua vita nella Valle Palancar, prima che il fato e sanguinoso irrompesse nella sua esistenza. Tuttavia ben presto quelle scene deviarono dal quotidiano ed Eragon si ritrovò immerso in situazioni immaginarie, costruite pezzo per pezzo da frammenti di fatti realmente accaduti. Pochi istanti prima che si riavesse dal torpore, la visione tremolò e le immagini si fecero via via più reali.

Si trovava nella fucina di Horst, la porta era spalancata, come il ghigno fisso di un folle. Fuori regnava una notte senza stelle e quella divorante oscurità sembrava insidiare il contorno della fioca luce rossa emanata dalla brace, come se fosse ansiosa di inghiottire ogni cosa all'interno di quella sfera accesa. Accanto alla forgia, Horst si stagliava come un gigante; le ombre in continuo movimento sul viso e la barba erano una visione orribile. Alzava e abbassava il braccio imponente, e ogni volta che il martello colpiva l'estremità di una sbarra di acciaio color giallo acceso, un clangore simile a un rintocco di campana faceva vibrare l'aria. Una vampata di scintille saettò fino a terra, dove si spense. Il fabbro colpì il metallo altre quattro volte, poi sollevò la sbarra dall'incudine e la immerse in un barile d'olio. Fiamme spettrali, azzurre e sottili, tremolarono lungo la superficie e poi svanirono tra piccole grida inferocite. Estratta la sbarra, Horst si volse verso Eragon e lo guardò accigliato. "Che cosa ci fai qui?" gli chiese.

"Mi serve la spada di un Cavaliere dei Draghi."

"Vattene. Non ho tempo di forgiartene una. Non vedi che sto lavorando a un gancio da paiolo per Elain? Le serve per la battaglia. Sei solo?"

"Non lo so."

"Dov'è tuo padre? Dov'è tua madre?"

"Non lo so."

Poi risuonò un'altra voce, educata ma forte e potente. "Buon fabbro" disse, "non è solo. È venuto con me."

"E tu chi saresti?" domandò Horst.

"Sono suo padre."

Dalla fitta oscurità oltre i battenti spalancati emerse una figura immensa, orlata da una pallida luce. Si fermò sulla soglia della fucina. Un mantello rosso sventolava sulle spalle più larghe di quelle di un Kull. Nella mano sinistra dell'uomo scintillava Zar'roc, affilata come il dolore. Attraverso le fessure dell'elmo lucente gli occhi azzurri dell'uomo trafissero Eragon, immobilizzandolo, come un coniglio infilzato da una freccia. Poi alzò la mano destra e la tenne levata verso il ragazzo. "Figlio mio, vieni con me. Insieme possiamo distruggere i Varden, uccidere Galbatorix e conquistare tutta Alagaësia. Dammi il tuo cuore e saremo invincibili.

"Dammi il tuo cuore, figlio mio."

Con un grido strozzato, Eragon balzò dal divano e si ritrovò in piedi, lo sguardo fisso sul pavimento, i pugni serrati, il respiro affannoso. Le guardie di Orik gli lanciarono occhiate indagatrici, ma lui le ignorò, troppo turbato per spiegare quello scatto.

Era ancora presto, così tornò a sedersi sul divano, ma rimase all'erta e non consentì a se stesso di sprofondare ancora nel mondo dei sogni, temendo che chissà quali altri fantasmi arrivassero a tormentarlo.

Eragon era in piedi, la schiena rivolta alla parete, la mano sul pomolo dello spadino da nano, mentre osservava i capiclan sfilare nella sala riunioni circolare sepolta sotto Tronjheim. Tenne d'occhio soprattutto Vermûnd, il grimstborith dell'Az Sweldn rak Anhûin, ma se anche il nano coperto dal lungo velo viola era sorpreso di vederlo vivo e vegeto, non lo diede a vedere.

Eragon sentì lo stivale di Orik contro il suo. Senza distogliere lo sguardo, si chinò verso di lui. «Ricordati, a sinistra; la terza porta» gli sussurrò, alludendo al punto in cui aveva fatto schierare un centinaio di guerrieri all'insaputa degli altri capiclan.

«Se si arriva al sangue, devo cogliere l'occasione e uccidere quella serpe di Vermûnd?» chiese Eragon, anche lui a fior di labbra.

«No, ti prego, a meno che non sia lui a fare la prima mossa contro uno di noi.» A Orik sfuggì un risolino sommesso. «Difficilmente ti conquisteresti il favore degli altri grimstborith... Adesso devo andare. Prega Sindri di avere fortuna, d'accordo? Stiamo per avventurarci in un mare di lava che non ho mai osato attraversare prima d'ora.»

Eragon obbedì e pregò.

Quando tutti i capiclan si furono seduti attorno al tavolo in mezzo alla stanza, gli osservatori, compreso Eragon, presero posto sulle sedie disposte contro la parete ricurva. Tuttavia, a differenza di molti nani, lui non si rilassò: anzi, rimase seduto sul bordo della sedia, pronto a scattare al minimo segnale di pericolo.

Non appena Gannel, il sacerdote-guerriero dagli occhi neri del Dûrgrimst Quan, si alzò e cominciò a parlare nell'antica lingua dei nani, Hûndfast si avvicinò furtivo a Eragon e gli tradusse tutto sottovoce, senza mai fermarsi: «Di nuovo ben trovati, miei compagni capiclan. Ma che sia un'occasione piacevole o meno non saprei dirlo, perché mi sono giunte all'orecchio alcune voci allarmanti, anzi, in verità voci di voci. Non ho altre informazioni al di là di queste chiacchiere vaghe e preoccupanti, né prove sulle quali fondare un'accusa. Tuttavia, poiché oggi spetta a me presiedere il raduno, propongo di posticipare i nostri dibattiti più seri: se siete d'accordo, vorrei porvi qualche domanda.»

I capiclan borbottarono tra loro e poi prese la parola Íorûnn, vivace e sorridente come sempre: «Io non ho obiezioni, Grimstborith Gannel. Hai risvegliato la mia curiosità con queste misteriose insinuazioni. Sentiamo le tue domande.»

«Sì, sentiamole» intervenne Nado.

«Sentiamole» convennero Manndrâth e gli altri capiclan, compreso Vermûnd.

Ottenuto il permesso richiesto, Gannel si appoggiò con le nocche sul tavolo e rimase in silenzio per un istante, conquistando l'attenzione dei presenti. Poi parlò. «Ieri, mentre stavamo pranzando, ognuno nel punto di ristoro prescelto, alcuni knurlan hanno sentito un rumore provenire dai tunnel sotto il quadrante meridionale di Tronjheim. Le dichiarazioni sull'intensità di questo rumore sono discordi, ma che l'abbiano notato in tanti prova che doveva trattarsi di un suono di una certa entità. Come voi, ho ricevuto il solito avvertimento di un possibile crollo. Ciò di cui forse non siete a conoscenza, tuttavia, è che appena due ore dopo alcuni...»

Hûndfast esitò e poi si affrettò a sussurrare: «È una parola difficile da rendere nella tua lingua. Direi qualcosa tipo: "abitanti dei tunnel".» E poi riprese a tradurre.

«... alcuni abitanti dei tunnel hanno scoperto tracce di un feroce combattimento in uno degli antichi cunicoli scavati dal nostro celebre progenitore, Korgan Barbalunga. Il pavimento era un lago di sangue, le pareti annerite di fuliggine poiché un guerriero poco accorto aveva colpito e rotto una lanterna con la spada, la roccia tutto intorno era spaccata e a terra c'erano sette corpi carbonizzati e mutilati; forse portavano insegne, ma qualcuno le ha rimosse. Di sicuro non erano i resti di qualche oscura scaramuccia risalente alla battaglia del Farthen Dûr. No! Il sangue era ancora fresco, la fuliggine soffice, le crepe recenti e, almeno così mi è stato detto, si distinguevano ancora le tracce di potenti magie. Perfino ora molti dei nostri più abili stregoni stanno tentando di ricostruire un'immagine fedele di ciò che è accaduto, ma hanno poche speranze di successo, poiché gli individui coinvolti erano protetti da subdoli incantesimi. Allora, la mia prima domanda è: qualcuno di voi è al corrente di questa azione misteriosa?»

Quando Gannel ebbe concluso il suo discorso, Eragon piegò le gambe, pronto a balzare in piedi se i nani ammantati di viola dell'Az Sweldn rak Anhûin avessero messo mano alle spade.

Orik si schiarì la voce e rispose: «Credo di poter soddisfare in parte la tua curiosità su questo punto, Gannel. Tuttavia, poiché la mia risposta sarà lunga, suggerisco che tu prosegua con le altre domande.»

Gannel corrugò la fronte, rabbuiato. Battendo le nocche sul tavolo, replicò: «Molto bene... Cosa che senza dubbio è da ricollegarsi allo scontro armato avvenuto nei tunnel di Korgan, mi sono stati riportati numerosi movimenti di knurlan che si starebbero organizzando in bande armate per tutta Tronjheim, benché i loro scopi siano ancora sconosciuti. I miei agenti non sono riusciti a scoprire il clan di appartenenza dei guerrieri, ma che un qualsiasi clan presente a questo concilio stia tentando di schierare furtivamente le proprie forze mentre siamo radunati per decidere il successore di re Rothgar suggerisce motivazioni della più fosca natura. Dunque la mia seconda domanda è: chi è il responsabile di questa manovra scorretta? E se nessuno è disposto ad ammettere la propria condotta indegna, propongo con forza che tutti i guerrieri, quale che sia il loro clan, siano espulsi da Tronjheim per la durata del raduno e che si nomini subito un esperto in materia legale per indagare su tali fatti e stabilire chi sia il colpevole.»

La rivelazione, la domanda e la conseguente proposta di Gannel sollevarono un animato brusio tra i capiclan, che presero a lanciarsi accuse, negarle e ribattere con crescente animosità, finché, mentre un infuriato Thordris stava gridando contro un paonazzo Gàldhiem, Orik si schiarì di nuovo la voce. Tutti tacquero e si voltarono a fissarlo.

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