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Quando rientrò gocciolante nella stanza illuminata, trovò un asciugamano, una bella camicia di lino e un paio di braghe. I vestiti erano quasi della misura giusta per lui. Soddisfatto e rinfrancato, si avviò lungo il tunnel.
Orik lo aspettava con la pipa in mano. Risalirono le scale fino a Tronjheim e uscirono dalla cittàmontagna. Eragon alzò lo sguardo verso il picco di Tronjheim e chiamò Saphira con la mente. Mentre la dragonessa scendeva, Eragon chiese: «Come fate a comunicare con le persone che sono lassù?»
Orik ridacchiò. «È un problema che abbiamo risolto tanto tempo fa. Non l'hai notato, ma dietro gli archi aperti che si affacciano da ogni livello c'è un'unica scala ininterrotta che risale lungo il muro della sala centrale di Tronjheim e arriva fino alla rocca sopra Isidar Mithrirn. La chiamiamo Voi Turin, la Scala Infinita. Certo, non è rapida da salire e scendere in caso di emergenza, e non è comoda per l'uso quotidiano. Infatti per comunicare usiamo le lanterne di segnalazione. C'è anche un altro modo, ma viene usato di rado. Quando fu costruita Voi Turin, accanto a essa venne scavato una specie di canale di scolo. Funziona come un gigantesco scivolo, alto quanto una montagna.» Eragon abbozzò un sorriso. «È pericoloso?»
«Non pensare nemmeno di provarci. Lo scivolo è stato costruito per i nani, ed è troppo stretto per un umano. Potresti cadere fuori, per le scale, e cozzare contro gli archi, o finire nel vuoto.» Saphira atterrò a un tiro di lancia da loro, in un crepitio di squame. Mentre salutava Eragon, umani e nani si riversarono da Tronjheim e si strinsero intorno a lei con mormorii di interesse. Eragon osservò la folla con crescente disagio. «Faresti meglio ad andare» disse Orik, spingendolo avanti. «Ci rivediamo davanti a questo cancello domattina. Ti aspetterò.»
Eragon esitò. «Come faccio a sapere che è mattina?»
«Ti farò svegliare da qualcuno. Adesso vai!» Senza indugiare oltre, Eragon si fece largo tra la folla che circondava Saphira e le montò in groppa.
Un attimo prima che la dragonessa spiccasse il volo, una vecchia si fece avanti e afferrò la caviglia di Eragon. Il giovane tentò di liberarsi, ma la stretta era tenace come una morsa di ferro. Gli ardenti occhi grigi della donna erano circondati da una fitta ragnatela di rughe; la pelle delle guance ricadeva in pieghe flosce come sacchi vuoti. Nell'incavo del braccio sinistro portava un fagotto lacero.
Spaventato, Eragon chiese: «Che cosa vuoi?»
La donna inclinò il braccio e un lembo di stoffa del fagotto si aprì, mostrando il volto di un neonato. Con voce roca e disperata, la donna implorò: «Questa bimba è orfana.,, non c'è nessuno che si prenda cura di lei, tranne me, e io sono vecchia e debole. Benedicila col tuo potere. Argetlam. Benedici la sua sorte!»
Eragon cercò Orik con lo sguardo, supplicando aiuto, ma il nano si limitò a guardarlo a sua volta, con un'espressione indecifrabile. La folla tacque, aspettando la sua risposta. Gli occhi della donna erano fissi su di lui. «Benedici questa bimba. Argetlam, benedicila» insisteva.
Eragon non aveva mai benedetto nessuno. Non era una cosa che si faceva alla leggera in Alagasëia, perché una benedizione poteva facilmente corrompersi e rivelarsi più una maledizione che un augurio, specie se pronunciata con cattivi intenti o senza convizione. Oso prendermi questa responsabilità? si chiese.
«Benedicila. Argetlam, benedicila.»
Finalmente deciso, cercò una frase o un'espressione da usare. Non gli venne in mente niente. Poi, in un lampo d'ispirazione, pensò all'antica lingua. Sì, sarebbe stata una vera benedizione, pronunciata con parole di potere, da chi aveva il potere.
Si chinò e si tolse il guanto dalla mano destra. Posò il palmo sulla fronte della neonata e disse: «Atra giilai un ilian tauthr ono un atra ono waise skòlir fra rauthr.» Le parole lo lasciarono inaspettatamente debole, come se avesse usato la magia. Si rimise il guanto e disse alla donna: «Questo è il massimo che posso fare per lei. Se esistono parole che hanno il potere di ostacolare la sventura, sono queste.».
«Ti ringrazio. Argetlam» mormorò la vecchia con un lieve inchino. Si accinse a ricoprire il visetto della bimba, quando Saphira sbuffò e abbassò la testa sulla piccola. L'anziana donna si irrigidì, trattenendo il fiato, Saphira sfiorò col muso la fronte della piccola, poi si rialzò lentamente. La folla emise un'esclamazione soffocata. Sulla fronte della bimba, nel punto in. cui Saphira l'aveva toccata, c'era .una macchia a forma di stella, bianca e lucente come il gedwéy ignasia di Eragon. La donna guardò Saphira con occhi umidi, colmi di gratitudine.
Saphira si alzò subito in volo, sferzando gli spettatori attoniti con lo spostamento d'aria prodotto dai suoi poderosi colpi d'ala. Mentre il terreno si allontanava sotto di loro, Eragon trasse un profondo sospiro e le abbracciò stretto il collo. Cosa hai fatto? le chiese.
Le ho dato speranza. E tu le hai dato un futuro.
Eragon si sentì travolgere da un'improvvisa solitudine, malgrado la presenza di Saphira. Quel luogo era così estraneo: per la prima volta si rese conto con dolore di quanto era lontano da casa. Una casa distrutta, ma era là che aveva lasciato il cuore. Che cosa sono diventato, Saphira? disse. Questo è il mio primo anno dell'età adulta, e già sono stato a consulto con il capo dei Varden. Galbatorix mi insegue e ho viaggiato col figlio di Morzan...e ora c'è anche chi pretende da me una benedizione! Quale saggezza posso dare alla gente che già essa non possegga? Quali gesta posso compiere che un esercito non possa compiere meglio? È una follia! Dovrei tornare a Carvahall, da Roran. Saphira non rispose subito, ma quando vennero, le sue parole furono gentili. Un cucciolo, ecco che cosa sei. Un cucciolo che lotta per sopravvivere nel mondo. Forse come età sono più giovane di te, ma sono molto più vecchia nei pensieri. Non preoccuparti di queste cose. Trova pace in ciò che sei e dove ti trovi. Le persone spesso sanno già cosa fare; a te spetta il compito di mostrare loro il modo... ecco la vera saggezza. E per quanto riguarda le gesta, nessun esercito avrebbe potuto dare la benedizione che hai dato tu.
Ma non era niente,protestò lui. Una sciocchezza.
No, niente affatto. Quello che hai visto è l'inizio di un'altra storia, un'altra leggenda. Credi che quella bambina si accontenterà di fare la locandiera o la contadina, quando sulla fronte reca il marchio di un drago ed è stata benedetta dalle tue parole? Tu sottovaluti i nostri poteri e quelli del destino.
Eragon chinò il capo. È troppo. Ho la sensazione di vivere dentro un'illusione, un sogno dove ogni cosa è possibile. Lo so che eventi straordinari possono succedere, ma sempre a qualcun altro, sempre in qualche luogo e qualche epoca remoti. Eppure io ho trovato il tuo uovo, sono stato addestrato da un Cavaliere e ho duellato con uno Spettro... queste non possono essere le azioni del ragazzo di campagna che sono, o che ero. Qualcosa è cambiato in me.
È il tuo wyrda che ti forgia,disse Saphira. Ogni epoca ha bisogno di un eroe... forse questa volta è toccato a te. I ragazzi di campagna non portano il nome del primo Cavaliere, di solito. Il tuo soprannome è stato il principio, e ora tu sei la continuazione. O la fine.
Ah,mormorò Eragon, scuotendo il capo. Sembra una sciarada... Ma se è tutto prestabilito, che senso hanno le nostre scelte? O dobbiamo soltanto imparare ad accettare il nostro fato? Eragon,disse Saphira in tono grave, io ti ho scelto da dentro il mio guscio. Ti è stata concessa un'occasione per cui molti morirebbero. Sei infelice per questo? Sgombra la mente da simili pensieri. Non hanno risposta e non ti rendono più felice.
Vero,rispose lui, cupo. Tuttavia continuano a tormentarmi.
Le cose si sono... guastate... da quando Brom è morto. Anch'io provo una profonda inquietudine,ammise Saphira. Eragon fu molto sorpreso, perché di rado la dragonessa si mostrava turbata. Erano sopra Tronjheim. Eragon guardò in basso, attraverso l'apertura nel suo picco e vide il pavimento della rocca; Isidar Mithrim, il grande zaffiro stellato. Sapeva che sotto non c'era niente, se non la grande sala centrale di Tronjheim, Saphira planò silenziosa sulla roccaforte, ne superò il bordo e atterrò su Isidar Mithrim con un clangore di artigli.
Non lo graffierai, così? disse Eragon.
Non credo. Questa non è una gemma qualsiasi. Eragon si lasciò scivolare a terra e si volse lentamente tutt'intorno per ammirare l'insolito colpo d'occhio. Erano in una sala circolare, priva di tetto, alta sessanta piedi e larga altrettanto. Sulle pareti si aprivano innumerevoli, buie caverne, alcune non più grandi di un uomo, altre enormi come una casa. Nel marmo erano stati ricavati lucidi gradini perché la gente raggiungesse le grotte più alte. Un arco colossale segnava l'uscita dalla roccaforte.
Eragon esaminò la grande gemma sotto i suoi piedi e d'impulso vi si sdraiò sopra. Premette la guancia contro il freddo zaffiro e provò a guardarvi attraverso. Linee distorte e tremolanti punti colorati sfarfallavano dentro la gemma, ma il suo spessore rendeva impossibile distinguere chiaramente che cosa ci fosse sul pavimento della sala, un miglio più sotto.
Dobbiamo dormire separati?
Saphira scosse la grande testa. No, c'è un letto per te nella mia caverna. Vieni a vedere. Si volse e senza aprire le ali spiccò un balzo che la fece atterrare davanti a una grotta di media grandezza, venti piedi più in alto. Eragon si arrampicò dietro di lei.
La caverna era marrone scuro all'interno e più profonda di quanto si fosse aspettato. Le pareti rozzamente scolpite sembravano coperte da rughe naturali della roccia. Addossato alla parete di fondo c'era un enorme cuscino, in grado di ospitare Saphira accoccolata. Accanto c'era un letto incassato nella parete. La caverna era illuminata da un'unica lanterna rossa, schermata da una griglia che ne attenuava il bagliore.
Mi piace,disse Eragon. Mi sento al sicuro.
Già.Saphira si rannicchiò sul cuscino e rimase a guardarlo. Con un sospiro, Eragon si sedette sul materasso, colto da un'improvvisa stanchezza.
Saphira, non hai detto molto da quando siamo qui Che cosa pensi di Tronjheim e diAjihad? Vedremo... A quanto pare, Eragon, siamo coinvolti in un altro tipo di conflitto, qui. Non servono spade e artigli, ma parole e alleanze. Ai Gemelli non siamo piaciuti, perciò il mio consiglio è di stare in guardia contro eventuali loro mosse. Nemmeno i nani si fidano di noi. Gli elfi non vogliono un Cavaliere umano, e così anche loro ci saranno ostili. La cosa migliore che possiamo fare è individuare coloro che detengono il vero potere e farceli amici. E alla svelta, anche. Credi sia possibile restare indipendenti dai capi?
Saphira spostò le ali in una posizione più comoda. Ajihad sostiene la nostra libertà, ma potremmo non sopravvivere se non giuriamo la nostra lealtà a un gruppo o all'altro. Credo che lo scopriremo presto.
RADICE DI MANDRAGOLA E LINGUA DI TRITONE
E
ragon si svegliò con le coperte ammucchiate sotto il suo corpo; eppure non aveva freddo. Saphira dormiva ancora sul suo cuscino, e russava con lievi sbuffi regolari. Per la prima volta da quando era entrato nel Farthen Dùr, Eragon si sentiva al sicuro, pieno
di speranza. Era al caldo, aveva mangiato e dormito a volontà. La tensione dentro di lui si andava allentando: la tensione accumulata dalla morte di Brom, e anche da prima, da quando aveva lasciato la Valle Palancar. Non ho più paura. Ma Murtagh? Malgrado l'ospitalità dei Vàrden, Eragon non poteva perdonarsi in tutta coscienza di aver provocato, che lo volesse o meno, la prigionia di Murtagh. Doveva risolvere la questione.
Il suo sguardo vagò per l'ampio soffitto della caverna, mentre pensava ad Arya. Rimproverandosi per quei sogni a occhi aperti, voltò la testa e guardò il piazzale della rocca. Un grosso gatto era accoccolato davanti all'ingresso della caverna, intento a leccarsi una zampa. L'animale gli scoccò un'occhiata, ed Eragon vide un baluginio di rossi occhi obliqui.
Solembum?chiese, incredulo.
E chi altri? Il gatto marinaro si scrollò la folta pelliccia e sbadigliò languido, mostrando i denti aguzzi. Si stiracchiò, poi balzò fuori dalla grotta, atterrando con un tonfo su Isidar Mithrim, venti piedi più in basso. Vieni?
Eragon guardò Saphira, che nel frattempo si era svegliata e lo fissava immobile. Va' pure. Starò bene, mormorò. Solembum lo aspettava sotto l'arco che conduceva all'altra parte di Tronjheim. Nel momento in cui i piedi di Eragon toccarono Isidar Mithrim, il gatto marinaro si volse con uno scatto delle zampe e scomparve oltre l'arco. Eragon lo inseguì, strofinandosi gli occhi ancora gonfi di sonno. Passò sotto l'arco e si trovò all'inizio di Voi Turin, la Scala Infinita. Non c'era altro posto dove andare, perciò scese al piano di sotto.
Si fermò in una galleria aperta che curvava dolcemente a sinistra lungo il perimetro della sala centrale di Tronjheim. Fra le eleganti colonne che sostenevano gli archi, Eragon vide Isidar Mithrim che scintillava sopra di lui, come anche il pavimento lontano della città-montagna. La circonferenza della sala centrale aumentava procedendo verso il basso. La scala proseguiva oltre il pavimento della galleria verso un livello identico più sotto e scendeva lungo decine di arcate fino a scomparire in lontananza. Lo scivolo correva lungo il margine esterno della scala. In cima a Voi Turin c'era un mucchio di pelli quadrate che servivano ad agevolare la discesa. Alla destra di Eragon, un corridoio polveroso conduceva alle stanze e agli appartamenti di quel piano. Solembum zampettò lungo il corridoio, agitando la coda.
Aspetta, disse Eragon.
Cercò di raggiungere Solembum, ma ogni volta riusciva appena a intravvederlo prima che sparisse dietro un angolo, verso passaggi abbandonati. Infine, per l'ennesima svolta, vide il gatto marinaro fermo davanti a una porta. Solembum miagolò e la porta parve aprirsi da sola; il gatto scivolò dentro e la porta si richiuse. Eragon si fermò lì davanti, perplesso. Alzò una mano per bussare, quando la porta si aprì di nuovo, e un fascio di luce lo investì. Dopo un attimo di esitazione, fece un passo dentro.
Era in un appartamento di due stanze, sontuosamente decorato, con intarsi di legno e piante penzolanti. L'aria era calda, umida e profumata. Dalle pareti e dal basso soffitto pendevano numerose lanterne accese. Cumuli di oggetti affascinanti affollavano il pavimento, nascondendo gli angoli. Nella stanza accanto si intravvedeva un grande letto a colonnine, immerso in un'altra giungla di piante.
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