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Fu allora che Eragon notò la folla. Era rimasto così sbalordito dalla visione che non si era accorto della marea di persone assiepate intorno all'ingresso del tunnel. Nani e umani fiancheggiavano il sentiero lastricato come alberi di un viale. Erano centinaia, migliaia. Ogni sguardo, ogni volto era concentrato su Eragon. E tutti tacevano.

Eragon strinse la base di una delle punte sulla nuca di Saphira. Vide bambini vestiti di piccole tuniche impolverate, uomini col volto scavato e le nocche graffiate, donne con abiti cuciti in casa, e tozzi, temprati nani che si accarezzavano la barba. Tutti avevano la stessa espressione tesa, quella di un animale ferito quando sente che il predatore è vicino e non ha vie di fuga.

Una gocciolina di sudore scivolò lungo il viso di Eragon, ma lui non osò muoversi per asciugarla. Che cosa devo fare? chiese agitato.

Sorridi, alza la mono, qualunque cosai rispose Saphira in tono sbrigativo.

Eragon cercò di sorridere, ma le sue labbra riuscirono soltanto a fare una smorfia tirata. Prendendo coraggio, alzò una mano e abbozzò un saluto. Quando non accadde nulla, arrossì d'imbarazzo, abbassò il braccio e chinò la testa.

Una solitaria acclamazione interruppe il silenzio. Qualcuno applaudì forte. Per un breve secondo la folla esitò, poi Eragon fu investito da un boato di ovazioni.

«Molto bene» disse l'uomo calvo alle sue spalle. «Ora comincia a camminare.»

Sollevato, Eragon drizzò la schiena e chiese allegramente a Saphira: Andiamo? La dragonessa inarcò il collo e fece , un passo avanti. Mentre sfilavano davanti alla prima fila, lei guardò da un lato e dall'altro, ed esalò uno sbuffo di fumo. La folla si acquietò e indietreggiò, ma solo per riprendere a esultare con più passione.

Che vanitosa, la canzonò Eragon. Saphira agitò la coda e lo ignorò. Mentre avanzavano lungo il sentiero, Eragon scrutava incuriosito la folla acclamante. I nani erano molto più numerosi degli umani, ma molti di loro lo guardavano in tralice. Alcuni valsero perfino le spalle e se ne andarono, scuri in volto.

Gli umani erano gente di tempra dura e fiera. Tutti gli uomini avevano pugnali o coltelli infilati nella cintura; molti erano armati come per la battaglia. Le donne avevano un portamento altero, ma sembravano nascondere una profonda stanchezza. I pochi bambini fissavano Eragon con gli occhi sgranati. Quella gente doveva aver patito grandi sofferenze, e avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di difendersi.

I Varden avevano trovato il nascondiglio perfetto. Le pareti del Farthen Dùr erano troppo alte da superare perfino per un drago, e nessun esercito sarebbe stato capace di irrompere all'interno, ammesso che fosse riuscito a trovare le porte nascoste.

La ali di folla li seguivano da vicino, pur lasciando ampio spazio per il passaggio di Saphira. Il clamore prese ad acquietarsi, anche se l'attenzione di tutti restò concentrata su Eragon. Lui si guardò indietro e vide Murtagh che cavalcava rigido, il volto pallido.

Via via che si avvicinavano alla città-montagna, Eragon vide che il marmo bianco di Tronjheim era lucidissimo e aveva i contorni morbidi, come se fosse stato colato in uno stampo. Le alte pareti erano costellate da innumerevoli finestre rotonde incorniciate da elaborati intarsi. A ogni finestra era appesa una lanterna colorata che proiettava una luce soffusa sulla roccia attorno. Non si vedevano torri né comignoli. Proprio di fronte a loro, due grifoni d'oro alti trenta piedi erano a guardia di un massiccio cancello di legno - incassato di venti iarde nella base di Tronjehim ombreggiato da grosse capriate che sostenevano un altissimo, ampio arco.

Quando raggiunsero la base di Tronjheim, Saphira si fermò per capire se l'uomo calvo aveva istruzioni per loro. Non avendone ricevute, riprese a camminare verso il cancello. Le pareti erano decorate da sottili pilastri di diaspro color rosso sangue. Gli spazi fra i pilastri ospitavano enormi statue di creature esotiche, catturate per sempre dallo scalpello dello scultore.

Con un gran rimbombo il pesante cancello si aprì davanti a loro, mentre catene nascoste sollevavano lentamente le travi gigantesche. Un corridoio alto quattro piani si allungava dritto verso il centro di Tronjheim. Nei tre livelli più alti si apriva una serie di archi che rivelavano grigi tunnel che curvavano in lontananza. Gruppi di persone erano affacciati agli archi per vedere Eragon e Saphira. Al livello del terreno invece gli archi erano chiusi da porte massicce. Ricchi arazzi erano appesi fra i diversi livelli, ricamati a figure eroiche e tumultuose scene di battaglia. Un coro di acclamazioni gli risuohò nelle orecchie quando Saphira prese a incedere lungo la navata. Eragon alzò una mano, suscitando un altro ruggito festoso nella folla, anche se molti nani non si unirono alle grida di benvenuto.

Il corridoio era lungo un miglio e terminava davanti a un arco fiancheggiato da colonne di onice nera. Zirconi gialli grandi quando un uomo sormontavano gli scuri pilastri, emanando luminosi raggi dorati nel passaggio. Saphira varcò la soglia, poi si fermò, alzò il collo, ed emise un deliziato mormorio di gola.

Erano sbucati in una sala circolare, del diametro di circa mille piedi, che risaliva restringendosi fino al picco di Tronjheim, un miglio più in alto. Le pareti erano costituite da file di archi, ciascuna per ogni livello della città-montagna, e il pavimento era fatto di lucida corniola, su cui era inciso un martello circondato da dodici stelle d'argento, il simbolo sull'elmetto di Orik.

La sala era il centro di quattro corridoi, compreso quello da cui erano sbucati loro, che dividevano Tronjheim in quattro parti. I corridoi erano identici, tranne quello di fronte a loro. A destra e a sinistra di quel corridoio c'erano alti archi che si aprivano su scale discendenti, identiche. Il soffitto era sormontato da uno zaffiro stellato, roseo come un'alba, di dimensioni straordinarie. La gemma era larga venti iarde e altrettanto spessa. Era stata intagliata a forma di rosa, e così perfetta era stata l'opera che il fiore sembrava quasi vero. Un'ampia cinta di lanterne orlava i bordi dello zaffiro, che proiettava fasci striati di luce rossastra tutto intorno. I raggi lampeggianti della stella all'interno della gemma le conferivano l'aspetto di un gigantesco occhio indagatore. Eragon rimase a bocca aperta per lo stupore. Nulla lo aveva preparato a tutto questo. Gli sembrava impossibile che Tronjheim fosse stata costruita da esseri mortali. La città-montagna faceva impallidire ogni altra città che avesse visto nell'Impero. Eragon dubitava che Urù'baen potesse mai competere con lo splendore e la magnificenza di quel luogo. Tronjheim era uno straordinario monumento al potere e alla perseveranza dei nani.

L'uomo calvo si mise davanti a Saphira e disse: «Da qui in poi dovrete procedere a piedi.» La sua voce fu accolta da una scarica di fischi. Un nano prese in consegna Tornac e Fiammabianca. Eragon smontò da Saphira, ma rimase al suo fianco, mentre l'uomo calvo li conduceva sul pavimento di corniola verso il corridoio a destra.

Lo seguirono per centinaia di piedi, poi entrarono in un piccolo passaggio. Dopo quattro brusche svolte, arrivarono davanti a una massiccia porta di cedro che il tempo aveva macchiato di nero. L'uomo calvo la aprì con una spinta e fece entrare tutti, tranne le guardie.

AJIHAD

E

ragon si fece avanti in un'elegante biblioteca a due piani, gremita di scaffali di legno di cedro. Una scala a chiocciola di ferro battuto risaliva verso un piccolo ballatoio, arredato con due sedie e un tavolo da lettura. Lungo le pareti e sul soffitto erano appese lanterne

bianche per dare la possibilità di leggere in qualsiasi punto della stanza. E pavimento di pietra era coperto da un tappeto ovale, dal disegno intricato. In fondo alla stanza c'era una grande scrivania di noce, e dietro di essa un uomo, in piedi,

La sua pelle riluceva del colore dell'ebano oliato. Il cranio era rasato, ma una corta, curata barba nera gli copriva il mento e il labbro di sopra. Sul volto dai lineamenti decisi spiccavano occhi severi e intelligenti. Le spalle larghe e possenti erano enfatizzate da una lunga veste rossa ricamata con fili d'oro, abbottonata sopra un'elegante camicia viola. Il suo portamento fiero ed eretto emanava un'im mensa autorità,

Quando parlò, la sua voce suonò calda e sicura: «Benvenuti a Tronjheim, Eragon e Saphira. Io sono Ajihad. Venite e mettetevi comodi.»

Eragon si sedette su una poltrona accanto a Murtagh, mentre Saphira si accucciava dietro di loro con aria protettiva. Orik rimase in piedi lì accanto, Ajihad alzò una mano e schioccò due dita. Da dietro la scala a chiocciola uscì un uomo. Era identico all'uomo calvo vicino a lui. Eragon li guardò entrambi con grande sorpresa, e Murtagh si irrigidì. «La vostra confusione è comprensibile. Sono gemelli» disse Ajihad con un breve sorriso. «Vi direi i loro nomi, ma non ne possiedono.» Saphira emise un sibilo ostile. Ajihad la guardò per un istante, poi prese posto su una sedia dall'alto schienale, dietro la scrivania. I Gemelli si ritirarono dietro le scale e rimasero impassibili l'uno accanto all'altro. Ajihad congiunse le punte delle dita e fissò Eragon e Murtagh, studiandoli in silenzio per diversi minuti.

Eragon cambiò più volte posizione nella poltrona; si sentiva a disagio. Infine Ajihad abbassò le mani e fece un cenno ai Gemelli. Uno di loro gli si avvicinò sollecito. Ajihad gli sussurrò qualcosa all'orecchio. L'uomo calvo impallidì all'improvviso e scosse il capo con energia. Ajihad aggrottò la fronte, poi annuì come se avesse avuto conferma di qualcosa.

Posò il suo sguardo su Murtagh. «Mi hai messo in una posizione difficile, rifiutandoti di farti esaminare. Ti è stato concesso di entrare nel Farthen Dùr perché i Gemelli mi hanno assicurato di poterti controllare, e anche per merito delle tue azioni verso Eragon e Arya. Capisco che ci sono molte cose che vuoi mantenere segrete nella tua mente, ma finché lo farai, non potremo fidarci di te.»

«Non vi fidereste di me comunque» disse Murtagh in tono di sfida.

Il volto di Ajihad si oscurò nel sentirlo parlare, e i suoi occhi lampeggiarono minacciosi. «Anche se sono passati ventitré anni da quando l'ho sentita l'ultima volta... conosco quella voce.» Si erse in tutta la sua statura, gonfiando il petto. I Gemelli si scambiarono sguardi allarmati e presero a confabulare sottovoce. «Apparteneva a un altro uomo, più bestia che essere umano. Alzati.» Murtagh obbedì a malincuore, scoccando occhiate nervose sia ai Gemelli che ad Ajihad. «Togliti la camicia» ordinò quest'ultimo. Con una scrollata di spalle, Murtagh si sfilo la tunica. «Ora voltati.» Non appena si voltò, la luce illuminò la sua cicatrice.

«Murtagh» disse Ajihad, senza fiato. Orik emise un grugnito di sorpresa. Ajihad si volse di scatto verso i Gemelli e tuonò: «Lo sapevate?»

I Gemelli chinarono il capo. «Abbiamo scoperto il suo nome nella mente di Eragon, ma non sospettavamo minimamente che questo ragazzo fosse il figlio di un personaggio potente come Morzan. Non.... »

«E non mi avete detto niente?» esclamò Ajihad. Alzò una mano per anticipare le loro spiegazioni. «Ne discuteremo più tardi.» Poi tornò a rivolgersi a Murtagh. «Prima devo risolvere questo problema. Rifiuti ancora di farti esaminare?» .

«Sì» rispose Murtagh in tono deciso, e si infilò di nuovo la tunica. «Non voglio nessuno dentro la mia testa.»

Ajihad premette le mani sulla scrivania. «Ci saranno conseguenze spiacevoli, se non lo consenti. Finché i Gemelli non saranno in grado di dirmi che non sei una minaccia, non possiamo darti credito, malgrado é forse anche a causa dell'aiuto che hai dato a Eragon. Senza questa verifica, la gente di qui, tanto gli umani quanto i nani, ti farebbe a pezzi, se sapesse della tua presenza. Sarò costretto a tenerti confinato, per la tua come per la nostra incolumità. E sarebbe ancora peggio se il re dei nani. Rothgar, dovesse chiedere la tua custodia. Non metterti in una situazione che potresti facilménte evitare.»

Murtagh scosse la testa, caparbio. «No... anche se accettassi, verrei sempre trattato come un lebbroso, un emarginato. Non desidero altro che andarmene. Se mi lasciate andare in pace, non rivelerò mai la vostra posizione all'Impero.»

«E se venissi catturato e portato da Galbatorix?» obiettò Ajihad. «Lui riuscirebbe a estorcerti qualsiasi segreto, per quanto forte tu possa essere. Anche se riuscissi a resistergli, come possiamo sapere che in futuro non deciderai di riunirti a lui? Non posso correre questo rischio.» «Mi terrete prigioniero per sempre?» domandò Murtagh, teso.

«No» disse Ajihad. «solo finché non ti lascerai esaminare. Se verrai dichiarato degno di fiducia, i Gemelli elimineranno ogni ricordo della posizione del Farthen Dùr dalla tua mente, e potrai andartene. Non vogliamo correre il pericolo che qualcuno con simili informazioni cada nelle mani di Galbatorix. Che cosa vuoi fare, Murtagh? Decidi in fretta, altrimenti il tuo destino è segnato.» Arrenditi, lo implorò Eragon in silenzio, preoccupato per l'amico. Non ne vale la pena. Murtagh parlò, con voce chiara e stentorea. «La mia mente è l'unica cosa che non mi sia stata rubata. Altri uomini hanno tentato di entrarvi prima d'ora, ma ho imparato a difenderla a tutti i costi, perché mi sento sicuro soltanto nei miei più intimi pensieri. Mi avete dunque chiesto l'unica cosa che non posso darvi, e men che mai a quei due.» Indicò i Gemelli. «Fate di me quello che volete, ma sappiate questo; preferisco morire piuttosto che espormi alle loro indagini.»

Negli occhi di Ajihad brillò una scintilla di ammirazione. «La tua scelta non mi sorprende, anche se avevo sperato diversamente... Guardie!» La porta di cedro si spalancò di colpo e i guerrieri sciamarono all'interno, le armi in pugno. Ajihad indicò Murtagh e ordinò: «Conducetelo in una stanza senza finestre e sbarrate la porta. Mettete sei uomini all'ingresso e non permettete a nessuno di entrare finché non verrò io a vederlo, E non rivolgetegli la parola.»

I guerrieri circondarono Murtagh, scoccandogli occhiate sospettose. Mentre uscivano, Eragon attirò l'attenzione di Murtagh e mosse le labbra per dire "Mi dispiace", Murtagh si strinse nelle spalle, poi s'incamminò a testa alta. Scomparve nel corridoio con i soldati. Il rumore dei loro passi si perse in lontananza.

Ajihad disse bruscamente: «Tutti fuori da questa stanza, tranne Eragon e Saphira. Ora!» I Gemelli fecero un inchino e se ne andarono, ma Orik disse: «Signore, il re vorrà sapere di Murtagh. E resta ancora la questione della mia insubordinazione...»

Ajihad aggrottò la fronte, poi fece un cenno con la mano. «Parlerò io con Rothgar. Per quanto riguarda il tuo comportamento... aspetta fuori finché non ti chiamerò. E di' ai Gemelli di non allontanarsi. Non ho finito con loro.»

«Sissignore» disse Orik, chinando il capo. Si chiuse la porta alle spalle con un solido tonfo. Dopo un lungo silenzio. Ajihad emise un sospiro stanco e si sedette. Si passò una mano sul volto e alzò gli occhi al soffitto. Eragon aspettava con impazienza che parlasse lui per primo, ma questo non accadde. Allora osò fare una domanda che gli stava molto a cuore: «Come sta Arya?» Ajiahd abbassò gli occhi su di lui e disse in tono grave: «Non bene... ma i guaritori mi dicono che si riprenderà. . L'hanno assistita per tutta la notte. Il veleno le ha provocato seri danni. Non sarebbe sopravvissuta se non fosse stato per te. E per questo meriti la più profonda riconoscenza dei Varden.»

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