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Sì.

Saphira lo lasciò andare e con una spinta delle zampe spiccò il volo. Eragon avvertì un lieve brivido guardandola salire a spirale. Borbottando, tornò da Cadoc per seguire Brom.

Era quasi il tramonto quando prepararono il bivacco. Come al solito, prima di cena Eragon e Brom duellarono. Nel bel mezzo della lotta, Eragon sferrò un colpo tanto violento che entrambi i bastoni si spezzarono come ramoscelli. I pezzi volarono nel buio in una nuvola di schegge. Brom gettò ciò che restava del suo bastone nel fuoco e disse: «Con questi abbiamo chiuso; butta anche il tuo. Hai imparato bene, ma di più non possiamo fare con quei poveri legni. Non possono insegnarti altro. È arrivato il momento di usare le lame.» Estrasse Zar'roc dalla sacca di Eragon e gliela porse. «Ma così ci faremo male sul serio» protestò Eragon.

«No. Dimentichi ancora la magia» disse Brom. Alzò la sua spada e la fece girare, così che la luce del falò si riflette sulla lama. Posò un dito su ciascun lato della lama e si concentrò a fondo, la fronte solcata da rughe profonde. Per un momento non successe nulla, poi il vecchio esclamò «Géuloth du knìfr!» e una piccola scintilla rossa balenò fra le sue dita. Mentre la scintilla tremolava. Brom fece scorrere le dita lungo la lama della spada. Poi' la girò e fece lo stesso dall'altro lato. La scintilla svanì nel momento stesso in cui il vecchio tolse le dita dal metallo.

Brom tese la mano con il palmo rivolto verso l'alto e vi passò sopra la spada. Eragon scattò in avanti per fermarlo, ma fu troppo lento. Rimase di stucco quando Brom sorrise e gli mostrò la mano intatta. «Come hai fatto?» chiese il ragazzo.

«Toccala» disse Brom. Eragon sfiorò il taglio della lama e sentì una superficie invisibile sotto le dita. La barriera era spessa un quarto di pollice e molto scivolosa. «Fa' lo stesso su Zar'roc» gli disse Brom. «La tua protezione sarà un po' diversa dalla mia, ma il risultato sarà lo stesso.» Insegnò a Eragon la pronuncia corretta delle parole e lo guidò nel procedimento. Dopo qualche tentativo a vuoto, finalmente Eragon riuscì a neutralizzare la potenza della lama. Spavaldo, assunse la posizione di combattimento. Prima di cominciare. Brom lo ammonì. «Queste spade non tagliano, ma possono sempre spezzare le ossa. Preferirei evitarlo: perciò non agitare troppo le braccia come fai sempre. Un colpo sul collo potrebbe rivelarsi fatale.»

Eragon annuì, poi si slanciò senza preavviso. Quando Brom parò l'assalto, le spade cozzarono con fragore, sprizzando scintille. La spada era lenta e pesante per Eragon, che si era abituato a duellare con i bastoni. Incapace di brandire Zar'roc con la dovuta scioltezza, ricevette un duro colpo sul ginocchio.

Alla fine, entrambi ostentavano grossi lividi, Eragon più di Brom. Guardò Zar'roc e si stupì nel notare che nella lotta non era rimasta minimamente scalfitta.

CON GLI OCCHI DI UN DRAGO

I

l mattino dopo, Eragon si svegliò tutto indolenzito, coperto di lividi violetti. Vide Brom che trascinava la sella verso Saphira sforzandosi di mascherare la propria stanchezza. Mentre Eragon preparava la colazione. Brom legò la sella sul dorso di Saphira e le bisacce di Eragon.

Vuotata la scodella, Eragon prese in silenzio il suo arco e si avvicinò a Saphira. Brom disse: «Ricorda: tieni le ginocchia strette, guidala con i tuoi pensieri, e piegati in avanti il più possibile. Andrà tutto bene, se non ti farai prendere dal panico.» Eragon annuì e infilò l'arco nella custodia di pelle. Brom lo aiutò a montare in sella.

Saphira attese paziente che Eragon si legasse le cinghie intorno alle gambe. Pronto? gli chiese. Eragon inspirò a fondo l'aria fresca del mattino. No, ma andiamo! Lei annuì, entusiasta. Eragon si fece coraggio mentre la dragonessa prendeva lo slancio. Le sue zampe potenti scattarono verso l'alto e l'aria sferzò il viso del ragazzo, mozzandogli il fiato. Con tre rapidi battiti d'ali, Saphira prese quota e cominciò a salire sempre più in alto.

L'ultima volta che Eragon l'aveva cavalcata, Saphira aveva faticato a ogni gesto. Quel giorno invece volava serena, senza sforzo. Lui le strinse le braccia intorno al collo, mentre la dragonessa virava inclinandosi. Il fiume rimpicciolì fino a diventare una sottile linea grigia sotto di loro. Tutt'intorno fluttuavano le nuvole.

Quando ebbero preso un'andatura regolare in alto sopra le pianure, gli alberi non erano ormai che minuscoli puntini. L'aria era fredda, rarefatta e limpidissima. «È meravi...» Le parole morirono in gola a Eragon quando Saphira s'inclinò bruscamente e fece un giro completo su se stessa. Terra e cielo si scambiarono di posto in un turbinio terrificante e il ragazzo ebbe un attacco di vertigini. «Non farlo più!» strillò. «Mi sembrava di cadere.»

Devi farci l'abitudine. Se vengo attaccata in volo, questa è una delle manovre più semplici, rispose lei. Eragon non seppe ribattere, e si rassegnò a tenere sotto controllo lo stomaco. Saphira fece una lenta planata per avvicinarsi a terra.

Anche se la pancia gli faceva le capriole a ogni sobbalzo, Eragon cominciava a divertirsi. Rilassò appena le braccia e tese il collo all'indietro per contemplare il panorama.

Saphira lasciò che si godesse lo spettacolo, poi disse: Adesso ti mostro che cosa significa volare davvero.

Come? fece luì.

Stai tranquillo e non avere paura, disse lei.

La mente di lei attirò quella di lui, risucchiandola dal corpo. Per un momento Eragon provò l'impulso di resistere; poi si arrese. La vista gli si annebbiò, e si ritrovò a guardare attraverso gli occhi della dragonessa. Tutto era distorto: i colori avevano sfumature strane ed esotiche; dominavano i blu, mentre i verdi e i rossi erano più pallidi. Eragon provò a girare la testa e il corpo, ma non ci riuscì. Si sentiva come un fantasma scivolato fuori dall'etere.

Gioia pura irradiava da Saphira mentre puntava verso il cielo, esprimendo nel volo l'amore sconfinato per quella libertà speciale, la libertà di poter andare ovunque.. Quando furono molto in alto, si voltò a guardare Eragon. Lui vide se stesso aggrappato al collo di lei, con gli occhi spenti. Sentiva il corpo della dragonessa tendersi contro l'aria, pronto ad affidarsi alle correnti per salire. Tutti i muscoli di lei gli sembravano i propri. Avvertì la coda di Saphira sferzare l'aria come un gigantesco timone per correggere la rotta, e rimase sorpreso nello scoprire quanto fosse importante per lei.

L'intesa tra le due creature divenne tanto forte da cancellare qualunque distinzione fra l'uno e l'altra. Ridussero l'apertura alare e caddero in picchiata, come una lancia scagliata dal cielo. La paura di precipitare questa volta non sfiorò neppure Eragon, preso com'era dall'esaltazione di Saphira. Il vento scorreva su di loro, la coda guizzava nell'aria, le menti gioivano, unite in quell'ineffabile esperienza.

Anche quando si tuffarono verso il terreno, non temettero nemmeno per un istante di schiantarsi. Aprirono le ali con uno schiocco al momento giusto, frenando la picchiata con la loro forza congiunta. Puntarono verso il cielo e tracciarono un gigantesco arco nell'aria.

Quando ripresero l'assetto normale, le loro menti cominciarono a dividersi. Dragonessa e ragazzo furono di nuovo due personalità distinte. Per una frazione di secondo, Eragon avvertì ad un tempo il proprio corpo e quello. di Saphira. Poi la vista gli si annebbiò di nuovo e si ritrovò seduto in sella.. dove si accasciò, senza fiato. Ci volle qualche minuto perché il suo cuore smettesse di martellare e il respiro si calmasse. Ripreso fiato, disse: È stato eccezionale! Come fai ad atterrare quando volare è così bello?

Devo pur mangiare, rispose lei con una punta di divertimento. Ma sono lieta che sia piaciuto anche a te.

Piaciuto? È una ben misera parola per descrivere un'esperienza simile. Sai, ora mi pento di non aver volato di più con te; non avrei mai pensato che potesse essere così. Vedi sempre tanto blu? Così sono fatta. Voleremo insieme più spesso, adesso?

Sì! Ogni volta che potremo.

Bene, rispose lei, soddisfatta.

Si scambiarono molti pensieri mentre volavano, parlando come non facevano da settimane. Saphira gli mostrò come usava le colline e i boschi per nascondersi e come sfruttava l'ombra delle nuvole per mimetizzarsi. Perlustrarono il tragitto per Brom, un compito che si rivelò più arduo del previsto. Non potevano scorgere il sentiero finché Saphira non si abbassava, e in quel caso rischiavano di essere scoperti.

Intorno a mezzogiorno, Eragon avvertì un fastidioso ronzio nelle orecchie, e si rese conto di una strana pressione nella mente. Scosse il capo, nel tentativo di liberarsene, ma la tensione si fece più forte. Gli tornarono alla memoria le parole di Brom su come una persona poteva entrare nella mente altrui, e così cercò disperatamente di sgomberare la testa. Si concentrò su una delle squame di Saphira e si costrinse a ignorare tutto il resto. La pressione si affievolì per un momento; poi tornò, più potente di prima. Una corrente improvvisa fece sbandare Saphira, ed Eragon perse la concentrazione. Prima che potesse erigere una nuova difesa, la forza irruppe. Ma invece della presenza invadente di un'altra mente, sentì soltanto queste parole: Che cosa credete di fare lassù? Scendete immediatamente. Ho trovato qualcosa d'importante.

Brom? chiese Eragon.

Già, rispose il vecchio, irritato. Adesso fai atterrare quella lucertola troppo cresciuta, lo sono qui... Gli inviò un'immagine della sua posizione. Eragon si affrettò a spiegare a Saphira dove andare, e la dragonessa virò verso il fiume di sotto. Nel frattempo, Eragon preparò l'arco e un certo numero di frecce.

Se Brom è nei guai, sono pronto.

Anch'io, disse Saphira.

Eragon trovò Brom che agitava le braccia al centro di una radura. Saphira atterrò, ed Eragon smontò in. fretta, guardandosi intorno in cerca di pericoli. I cavalli erano legati a un albero ai margini della radura, ma Brom era solo, Eragon si avvicinò al vecchio e gli chiese: «Che cosa succede?» Brom si grattò il mento e borbottò una serie di imprecazioni. «Non provare mai più a bloccarmi in quel modo. Già è difficile per me raggiungerti senza dover anche lottare per farmi sentire.;» «Scusami.»

Il vecchio sbuffò. «Ero più a valle, lungo il fiume, quando ho notato che le tracce dei Ra'zac erano scomparse. Sono tornato indietro finché non ho trovato il punto dove scomparivano. Guarda il terreno e dimmi che cosa vedi.»

Eragon s'inginocchiò per esaminare il terreno e trovò una confusione di impronte difficili da decifrare. Numerose' orme di Ra'zac si sovrapponevano. Eragon si disse che le tracce dovevano essere vecchie di pochi giorni. Sopra di esse c'erano lunghi solchi profondi. Sembravano familiari, ma Eragon non seppe dire perché.

Si alzò, scuotendo il capo. «Non ho idea di cosa...» Poi il suo sguardo cadde su Saphira, e capì all'istante che cosa aveva lasciato quei solchi. Ogni volta che la dragonessa si alzava in volo, gli artigli delle zampe posteriori affondavano nel terreno e lo dilaniavano allo stesso modo. «Non sembra probabile, eppure l'unica spiegazione che mi viene in mente è che i Ra'zac se ne siano andati a dorso di drago. Oppure hanno uccelli giganteschi su cui sono volati in cielo. Tu hai qualche altra ipotesi?»

Brom si strinse nelle spalle. «Ho sentito dire che i Ra'zac si spostano da un luogo all'altro a una velocità incredibile, ma questa è la prima volta che lo vedo con i miei occhi. Sarà impossibile trovarli, se hanno delle cavalcature volanti. Di una cosa sono sicuro però: non sono draghi. Un drago non accetterebbe mai di essere cavalcato da un Ra'zac»

«Che cosa facciamo? Saphira non può seguire le loro tracce in cielo. E se anche potesse, ti lasceremmo indietro.»

«Non c'è facile soluzione a questo problema» disse Brom. «Pensiamoci mentre pranziamo. Magari ci verrà un'ispirazione, tra un boccone e l'altro.» Eragon si avviò mestamente a prendere i viveri dalle bisacce. Mangiarono in silenzio, gli occhi rivolti al cielo sereno.

Ancora una volta Eragon pensò a casa e si chiese che cosa stesse facendo Roran. Gli apparve la visione di una fattoria, bruciata e il dolore minacciò di travolgerlo. Che cosa farò se non trovo i Ra'zac? Quale sarà il mio scopo, allora? Potrei tornare a Carvahall raccolse un ramoscello da terra e lo spezzò in due tra le dita oppure viaggiare con Brom e continuare il mio addestramento. Eragon contemplò le pianure, sperando di riuscire ad acquietare il tumulto dei propri pensieri. Quando Brom finì di mangiare, si alzò e abbassò il cappuccio. «Ho ripassato tutti i trucchi che conosco, tutte le parole di potere che sono alla mia portata, e considerato tutte le capacità a nostra disposizione, ma ancora non riesco a trovare il modo di rintracciare i Ra'zac.» Eragon si abbandonò contro Saphira, scoraggiato. «Saphira potrebbe farsi vedere in qualche città. Questo attirerebbe i Ra'zac come mosche intorno al miele. Ma sarebbe estremamente rischioso. I Ra'zac porterebbero con sé i soldati, e il re potrebbe dimostrarsi abbastanza interessato da venire di persona, il che vorrebbe dire morte certa per te e per me.»

«E dunque?» disse Eragon, allargando le braccia. Tu hai qualche idea, Saphira?

No.

«Dipende da te» disse Brom. «È la tua missione.»

Eragon digrignò i denti con rabbia e si allontanò da Brom e da Saphira. Stava per addentrarsi fra gli alberi, quando il suo piede urtò qualcosa di duro. Sul terreno c'era una fiaschetta di metallo con una cinghia di cuoio lunga abbastanza da passare sulla spalla di qualcuno. Su di essa era impresso un simbolo d'argento che Eragon riconobbe come l'insegna dei Ra'zac.

Eccitato, raccolse la fiaschetta e ne svitò il tappo. Un odore nauseabondo si sparse nell'aria, lo stesso che aveva annusato quando aveva trovato Garrow fra le macerie della loro casa. Inclinò la fiaschetta e una goccia di liquido chiaro e lucente gli cadde sul polpastrello. All'istante, il dito di Eragon bruciò come se l'avesse messo su una fiamma. Urlò e strofinò la mano sul terreno. Dopo un istante, il dolore calò, fino a diventare un sordo pulsare. Il liquido gli aveva corroso una chiazza di pelle.

Scuro in volto, tornò in fretta da Brom. «Guarda che cosa ho trovato.» Brom prese la fiaschetta per esaminarla, poi versò un po' di liquido nel tappo. Eragon fece per avvertirlo: «Attento, ti brucerà...» «La pelle, lo so» disse Brom. «Immagino che te lo sia versato sulla mano. Solo il dito? Bene, almeno hai avuto il buonsenso di non berlo. Di te non sarebbe rimasta che una pozzanghera melmosa.»

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